Cultura

L’arte vive nei dettagli:
una conversazione
con Speranza Scappucci

TORONTO — Di recente a Toronto per dirigere uno straordinario ‘Macbeth’ verdiano, una delle stelle italiane più fulgide del firmamento internazionale, Speranza Scappucci si racconta al nostro microfono parlando di musica, arte e lavoro.

Partiamo dagli impegni futuri: cosa ti aspetta nelle prossime settimane?
“Sarò in Belgio all’Opéra Royal de Wallonie-Liège [di cui è stata direttrice musicale dal 2017 al 2022, nda]: torno come ospite per ‘I dialoghi delle carmelitane’, un capolavoro del ‘900. E’ la prima volta che la dirigo quindi la sto approfondendo moltissimo, tra partitura, il libro di Bernanos e il film del 1960 con Alida Valli. Una produzione che mi porterà alla fine di un’intensa stagione cominciata a Parigi, passando per New York, in Europa con vari concerti sinfonici e poi qui a Toronto”.

Di musica classica si può parlare anche in tv, all’ora di cena, giusto?
“Sì, certamente: in RAI con Corrado Augias per la seconda stagione di ‘La gioia della musica’, un programma di divulgazione di musica e opera con la collaborazione dell’Orchestra Nazionale della RAI. Io al pianoforte spiego un brano e poi lo eseguiamo con l’orchestra. Sono delle pillole di musica pensate per i neofiti ma anche chi già ne sa può scoprire qualche dettaglio in più”.

Qual è il tuo segreto per essere sempre attiva e preparata?
“Da poco ho fatto cinquant’anni e posso dire che sono quella che sono oggi perché ho fatto un lunghissimo percorso di studi. A 5 anni studiavo pianoforte, a Roma mi sono diplomata e poi ho continuato a New York; ho lavorato come maestro collaboratore per poi arrivare al podio alla soglia dei 40. Credo che l’esperienza del teatro d’opera ‘dietro le quinte’ mi abbia dato degli strumenti in più”.

Cosa significa dirigere un’opera lirica?
“E’ un’esperienza meravigliosa e complessa: ci sono il coro, i solisti, l’orchestra. E’ come un puzzle gigantesco che devi mettere insieme; quindi – io dico sempre – l’energia viene da dentro ma ci deve anche essere una passione ed attenzione per la ricerca del dettaglio, mai fermarsi alla superficie, bisogna cercare sempre di scavare un po’ più a fondo. Soprattutto nell’opera e, in particolare, nel rapporto tra la musica e le parole”.

Quali sono le difficoltà in questo tipo di lavoro?
“Io non incontro difficoltà: il mio approccio è sempre molto aperto, votato alla collaborazione. Nell’opera tutto è frutto di collaborazione: bisogna cercare di aiutare chi sta sul placo. Questo non vuol dire assecondare sempre gli interpreti ma fornire piuttosto delle idee musicali per portare il cantante a dare il meglio di sé. In questo l’esperienza come maestro collaboratore mi aiuta moltissimo, il dialogo deve essere sempre vivo”.

Cosa ne pensi delle regie contemporanee?
“Per molti dei grandi compositori della lirica tanta della regia è già nella stesura della musica. Attraverso la scrittura musicale si capisce tutto; nel caso di ‘Macbeth’ è incredibile come Verdi indichi cosa stia provando un tal personaggio: basta leggere annotazioni come “voce soffocata”, l’uso dei fiati o degli archi, un accento su un corno inglese, una nota. Credo sia giusto che le regie contemporanee cerchino di rendere le storie più attuali ma sempre nel rispetto della musica. Sta a noi fare in modo che il dramma esista già a livello musicale. Poi c’è la parte visiva e ben vengano le innovazioni, se fatte in maniera intelligente”.

Come ti sei trovata alla COC?
“Benissimo, come già tre anni fa per ‘Il barbiere di Siviglia’: una grande professionalità e una calorosa accoglienza. Quello che amo di più di questo teatro e delle sue masse artistiche è l’entusiasmo e l’amore che mettono nel fare musica: hanno sempre voglia di imparare, di mettersi in gioco, di provare. In questo ‘Macbeth’ ho chiesto moltissimi colori, i piani e i forte, le sfumature”.

Come nel caso delle recite a Toronto, cosa serve per dirigere due cast diversi o cantanti diversi nello stesso ruolo?
“E’ una cosa abbastanza comune. Direi adattamento: l’impianto musicale rimane il medesimo, solido e ben studiato, ma bisogna sapersi adattare alle esigenze dei diversi cantanti: respirazione, peso vocale, movimenti scenici. Il cast unico è ideale ma non sempre è possibile. Quando il cast cambia è una varietà che arricchisce, da cui si impara sempre qualcosa di nuovo”.

Per chi volesse intraprendere un percorso di formazione musicale meglio l’Italia o l’estero?
“Entrambi: la mia preparazione musicale nasce grazie all’insegnamento di maestri eccellenti tanto a Roma quanto a New York: lo studio e la determinazione sono due ingredienti imprescindibili”.

Figlia d’arte?
“
No. La musica si è sempre ascoltata in famiglia ma i miei genitori si occupano di tutt’altro”.

Un gesto scaramantico prima di uno spettacolo?
“Non ce l’ho”.

Tre compositori preferiti?
“Mozart, Verdi, Puccini… e sicuramente Schubert: struggente, melanconico, pieno di contrasti”.

Se non fossi stata una pianista…?
“Avrei studiato il violoncello: tra gli archi, secondo me, è lo strumento che si avvicina di più alla voce umana”.

Ultimo libro che hai letto?
“‘Dialoghi delle Carmelitane’ di Georges Bernanos”.

Direttore o direttrice?
“Direttrice”.

Nella foto in alto, Speranza Scappucci (foto cortesia di Ian Ehm © 2022)

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