Cultura

Tra eretiche ed esuli la Storia si fa plurale

TORINO – Un satanasso infernale, in compagnia di dannate e dannati, campeggia sulla copertina di ‘Sottostorie’, il nuovo manuale di storia dal Medioevo a oggi di Johnny L. Bertolio (nella foto sopra). Quel sottosuolo luciferino è stato per secoli il luogo dove confinare individui e comunità che non rientravano nei canoni dell’ortodossia – sociale, religiosa, politica, culturale – e che solo in tempi recenti hanno conosciuto occasioni e movimenti di riscatto e liberazione.

‘Sottostorie’ evoca tutto quello abbiamo messo sotto il tappeto, come la polvere. E non a caso tu dici, nel presentare il volume, “tra le pieghe”, gli interstizi e non sulle belle pagine larghe, distese e miniate. Perché?
“Nell’insegnamento della storia, come in quello della letteratura, ci si basa su un racconto che procede per grandi eventi, guerre e battaglie, in vista dell’unità nazionale e del suo consolidamento. È vero: è più facile trovare fonti e studi che parlino di questo eppure, anche solo in termini di quantità, sono molte di più le persone escluse o marginalizzate dalla Storia con la maiuscola rispetto a quelle che l’hanno fatta e poi celebrata. A scuola non si può fare tutto e proprio per questo le selezioni dovrebbero tenere conto di più prospettive, non di una sola”.

Quando parliamo di Storia, “maiuscola e singolare”, parliamo in realtà di storiografia e di narrazione. Qual è la narrazione a cui ci hanno abituato dall’Ottocento in poi?
“I primi ministri della Pubblica istruzione del Regno d’Italia tenevano tantissimo al racconto risorgimentale e inizialmente studiare storia a scuola significava studiare il Risorgimento e l’Impero romano. Ma anche il Risorgimento ha avuto mille sfumature: le patriote impegnate in battaglia o negli ospedali, le finanziatrici di Mazzini e Garibaldi, le briganti arrestate nel Sud sono esempi di “sottostorie” soffocate dal racconto prevalente. Per non parlare dell’eurocentrismo che ancora domina la visione di altre civiltà, che si cominciano a studiare solo dopo che i navigatori e mercanti europei le hanno raggiunte. La vera “storia globale” si sofferma invece sui fenomeni e gli incontri transculturali, ossia su come abitudini, malattie, credenze, sistemi economici si siano diffusi nel mondo”.

Quali strumenti a fini didattici hai ideato per questo nuovo volume?
“Agli esercizi di comprensione e scrittura argomentativa sono state aggiunte attività sull’uso critico dell’intelligenza artificiale, uno strumento utile e da maneggiare con cura nel caso della storia. Abbiamo inoltre ideato percorsi di educazione alla cittadinanza, facendo dialogare passato e presente sui temi dell’ambiente, della violenza di genere, dell’orientamento affettivo”.

Il tuo precedente ‘Controcanone’ non vuole rimpiazzare il canone cosiddetto classico ma ampliarlo. È anche il caso di Sottostorie? Come possiamo integrare le tue proposte con i programmi ufficiali?
“I programmi ministeriali non esistono più e il corpo docente è libero di movimentare la didattica come meglio crede. ‘Sottostorie’, grazie a una serie di collegamenti e risorse digitali, ha una sua possibilità d’uso anche da solo perché i capitoli partono dagli eventi del canone della Storia per guardarli da prospettive diverse. Teniamo inoltre conto del fatto che la storia come disciplina non è molto fortunata nell’istruzione superiore: è insegnata insieme a un’altra (letteratura italiana o filosofia), spesso non da persone laureate in storia, che in poche ore dovrebbero condensare secoli. Ecco, anche per aiutare a liberarsi dal peso di un “programma” infinito, ‘Sottostorie’ offre percorsi alternativi, tematici”.

Dopo ‘Controcanone’ arriva ‘Sottostorie’: ormai Bertolio è il vendicatore dei vinti e degli oppressi, di chi è stato privato di una voce, di chi ha subito soprusi, di persone a cui è stata negata una rappresentazione identitaria in concertato con la loro sensibilità. È un’etichetta scomoda?
“Quando si affrontano questi argomenti, che purtroppo sono ancora oggi dati di realtà, l’accusa tipica è di “appropriazione culturale” cioè di sfruttare da una posizione di privilegio la parola o la rappresentazione di chi si è trovato – e si trova – ai margini. Simone de Beauvoir, a chi le rimproverava di aver scritto di maternità senza essere stata madre, ribatteva che non bisogna essere corvi per scrivere un libro sui corvi. Lo confermo, anche se nell’esempio sceglierei volatili variopinti. Credo che dare luce, senza pregiudizi né paternalismo, alle testimonianze delle comunità perseguitate sia un passo necessario per farle circolare il più possibile, anche e soprattutto tra chi se ne sente distante. Se a studiare la storia di Firenze fossero solo i fiorentini, quella di Bari i baresi, quella della Sicilia i siciliani, cadremmo in un gretto provincialismo che ha già causato abbastanza danni. Leggere, ascoltare, pubblicare punti di vista alternativi anche quando non si è parte in causa, è condivisione e in questo non ci vedo niente di male”.

[‘Sottostorie. Margini, oppressioni, riscatti dall’anno Mille a oggi’ di Johnny L. Bertolio è pubblicato da Loescher Editore]

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