AKWESASNE MOHAWK – I figli, di 1 e 2 anni, avevano entrambi passaporti canadesi ed erano stati battezzati nella Chiesa Ortodossa Rumena di Tutti i Santi a Scarborough, nel giugno dello scorso anno. Il padre, 28 anni, lavorava nell’edilizia e nelle pulizie e con la moglie – stessa età, entrambi a Toronto dal 2018 – frequentava la comunità parrocchiale. Ma non è bastato per restare nell’ “accogliente” Canada, che li ha espulsi. E loro, nel disperato tentativo di raggiungere gli Stati Uniti dove provare a costruirsi un futuro, sono morti annegati nel fiume St. Lawrence.
L’ennesima tragedia causata da un sistema dell’immigrazione che è ai limiti della disumanità (e poi parlano dell’Italia…) è emersa soltanto nelle ultime ore, quando si sono appresi ulteriori dettagli sulle identità e le storie delle otto vittime del naufragio del St. Lawrence, a circa 130 chilometri a ovest di Montreal, al confine tra Quebec, Ontario e New York, dove molti migranti cercano di passare dal Canada agli Stati Uniti (o viceversa).
Le otto vittime, dunque, sono di due famiglie: una rumena e un’altra di origine indiana.
La prima era quella composta da Cristina (Monalisa) Zenaida Iordache e Florin Iordache, 28 anni. Florin Iordache aveva passaporti canadesi per i loro due figli piccoli – di 1 e 2 anni – , anch’essi fra le vittime. La famiglia Iordache viveva a Toronto dove era già abbastanza integrata: Padre Emanuel Tencaliuc, sacerdote della Chiesa Ortodossa Rumena di Tutti i Santi, a Scarborough, ha raccontato ai media che le quattro vittime sono state incluse in una preghiera durante un servizio del fine settimana: i due figli della coppia erano infatti stati battezzati in quella chiesa nel giugno del 2022. “Una famiglia giovane, tranquilla, timida”, ha detto lunedì il sacerdote. “Volevano fare parte della comunità”.
Un amico di Florin ha dichiarato, sempre nella giornata di lunedì, che la famiglia Iordache ha dovuto affrontare il dramma della deportazione dal Canada: a Florin, infatti, era appena stato negato il permesso di rimanere nel Paese. E, secondo quanto riportato dalla CBC, nel registro on line della Corte Federale figura, in data 10 marzo, la presentazione di un ricorso da parte di una persona corrispondente al nome di Florin Iordache (con un’altra persona, Monalisa Budi). Un ricorso presentato anche perché la famiglia, di etnìa Rom, temeva persecuzioni in caso di un rientro in Romania: per questo aveva presentato varie domande, in precedenza, per rimanere in Canada, come ha detto l’avvocato della famiglia, Peter Ivanyi, in un’intervista rilasciata l’altro ieri a The Globe and Mail.
In uno scambio su Facebook, l’amico di Iordache, residente a Toronto e membro della comunità rumena, si è chiesto perché le autorità per l’immigrazione avrebbero cercato di espellere Iordache, che aveva due figli nati in Canada e lavorava nell’edilizia e nelle pulizie. “Era felice qui”, ha detto l’amico, aggiungendo che la comunità rumena sta cercando di raccogliere fondi per fare in modo che i corpi vengano portati a casa, dalle loro famiglie, che l’amico ha descritto come a basso reddito.
L’altra famiglia era indiana: Praveenbhai Chaudhari, 50 anni, contadino; la moglie Dakshaben, 45 anni; i due figli Incontra, 20 anni, e Vidhi, 23 anni. Achal Tyagi, sovrintendente di polizia della città di Mehsana, nello stato occidentale del Gujarat, in India, ha dichiarato che la famiglia “era partita da qui con un visto (turistico) per il Canada. Ma cosa sia successo là e perché stavano viaggiando negli Stati Uniti non è noto”. La polizia indiana è in contatto con l’ambasciata canadese in India e l’RCMP, ha detto Tyagi. Ma i dettagli sono scarsi perché l’indagine è agli inizi. Di certo è che sono morti, tutti e quattro, mentre cercavano di raggiungere gli Stati Uniti. L’ennesima di tante tragedie simili.
Il Gran Capo del Consiglio Mohawk di Akwesasne, Abram Benedict, ha dichiarato martedì alla CBC che la disperazione sta spingendo alcune persone a rischiare la vita attraversando illegalmente il confine tra Canada e Stati Uniti e la pressione economica sta spingendo alcuni membri della comunità ad aiutarli. E ha aggiunto che spera che la tragedia induca i politici di entrambi i Paesi a mettere in discussione il loro approccio all’immigrazione. “Dobbiamo prenderci un momento, fermarci e pensare a quanto fossero disperate queste persone disposte a mettere a rischio la vita della loro famiglia… per scegliere percorsi illegali per entrare in un altro Paese”, ha detto, puntando il dito contro i lunghi tempi di elaborazione per le domande di immigrazione e contro la mancanza di informazioni per gli aspiranti migranti.
Inoltre, Benedict ha dichiarato che alcuni membri della comunità (aborigena) locale, che hanno problemi economici, possono essere tentati di aiutare la criminalità organizzata che “contrabbanda” persone attraverso il confine. Ed è forse questo anche il caso di Casey Oakes, Nativo di Akwesasne, la cui barca è stata trovata vicino ai corpi delle otto vittime e che le autorità collegano, seppur timidamente, al tentativo delle due famiglie di raggiungere gli Stati Uniti illegalmente. Uno “scafista”, insomma. È ancora disperso. Anch’egli, in qualche modo, vittima di un sistema malato.
L’immagine in alto è tratta dal sito del governo federale canadese, all’indirizzo https://www.canada.ca/en/immigration-refugees-citizenship/corporate/publications-manuals.html