Canada

L’annuncio di Justin Trudeau: “Stop ai lavoratori stranieri sfruttati”, ma non a quelli che servono al Canada

TORONTO – Giro di vite sull’immigrazione temporanea: il governo federale liberale guidato da Justin Trudeau ha annunciato, ieri, una drastica riduzione del numero di lavoratori stranieri temporanei a basso salario, a partire dal prossimo 26 settembre, a vantaggio dei lavoratori canadesi. Come? Il Canada, in pratica, rifiuterà le richieste di lavoratori stranieri temporanei a basso salario nelle province con un tasso di disoccupazione pari o superiore al 6% (secondo l’ultimo rapporto sull’occupazione di Statistics Canada, il tasso di disoccupazione canadese è rimasto stabile al 6,4% a luglio: in Ontario è addirittura al 6,7%). Inoltre, i datori di lavoro potranno assumere un massimo del 10% della propria forza-lavoro dal programma temporaneo per lavoratori stranieri, rispetto all’attuale 20%. Infine, i lavoratori assunti attraverso il flusso a basso salario potranno lavorare al massimo un anno, invece di due anni.

“Stiamo inasprendo le regole e limitando l’ammissibilità per ridurre il numero di lavoratori stranieri temporanei a basso salario in Canada, con eccezioni in alcuni settori come l’assistenza sanitaria, il settore alimentare e l’edilizia”, ha affermato ieri Justin Trudeau, presentando la novità insieme al ministro del Lavoro, Randy Boissonnault (i dettagli sono qui). Il che sembra significare che i lavoratori attualmente a basso salario impiegati, per esempio, nella sanità (infermiere?) e nelle costruzioni (muratori?), potranno tranquillamente continuare a… essere sfruttati dai datori di lavoro.

Un problema, quello dello sfruttamento dei lavoratori temporanei stranieri in Canada, sollevato proprio pochi giorni fa dall’Onu, in un durissimo rapporto (che potete leggere integralmente qui: ONU in Canada) che ha definito il programma canadese dell’immigrazione un “terreno fertile per la schiavitù contemporanea”: il sistema dei permessi di lavoro temporanei “chiusi”, infatti, obbliga gli stranieri a lavorare solo per il datore di lavoro indicato nel permesso e se, per un qualsiasi motivo, perdono quell’impiego, vengono “deportati”, cioè costretti a lasciare il Canada senza neppure avere la possibilità di trovare una nuova occupazione. Questo li mette, inevitabilmente, in una condizione di estrema debolezza nei confronti del datore di lavoro, che può di fatto esercitare pressioni sul lavoratore e, nella peggiore delle ipotesi, ricatti di ogni tipo. Da qui, una serie di raccomandazioni dell’Onu al Canada, fra le quali “porre fine all’uso dei regimi di permessi di lavoro chiusi e consentire a tutti i lavoratori il diritto di scegliere e cambiare il proprio datore di lavoro in qualsiasi settore senza restrizioni o discriminazione” e “garantire che tutti i lavoratori migranti abbiano un chiaro percorso verso la residenza permanente dal momento del loro arrivo nel Paese” (rileggete il nostro articolo in proposito: Immigrati, l’Onu smonta la favola-Canada: “È un modello di schiavitù moderna”).

Raccomandazioni inascoltate, visto l’annuncio fatto ieri da Justin Trudeau: di fatto, il Canada si limita a ridurre il numero di lavoratori stranieri temporanei a basso salario, ma non nei settori in cui ha più bisogno come l’assistenza sanitaria, il settore alimentare e l’edilizia: lì, evidentemente, si potrà continuare a sfruttare gli stranieri, anche se il primo ministro ieri ha presentato la novità come un “rimedio all’ingiustizia”: “il Paese non ha più bisogno di tanti lavoratori stranieri temporanei. Abbiamo bisogno che le imprese canadesi investano in formazione e tecnologia e non aumentino la loro dipendenza dalla manodopera straniera a basso costo, non è giusto nei confronti dei canadesi che lottano per trovare un buon lavoro e non è giusto nei confronti dei lavoratori stranieri temporanei, alcuni dei quali vengono maltrattati e sfruttati”, ha detto Trudeau, “dimenticando” che la causa di tali maltrattamenti e sfruttamenti è la natura stessa del permesso di lavoro temporaneo canadese: è un permesso chiuso, che ti rende “schiavo” di un datore di lavoro, con tutte le conseguenze del caso, compreso il salario basso. Come ha scritto l’Onu. Ma quello non è stato cambiato.

Foto di Phill Brown da Unsplash

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