TORONTO – Altro che “paladino dei diritti umani”: il Canada ha “leggi e politiche che consentono lo sfruttamento dei lavoratori vulnerabili”, in Canada “non tutti hanno gli stessi diritti”, le minoranze sono prive di tutele e, più in generale, l’intero programma canadese per i lavoratori temporanei stranieri costituisce un “terreno fertile per la schiavitù contemporanea”.
Non lo diciamo noi, né qualche politico dell’opposizione: lo mette, nero su bianco, l’ONU in un durissimo rapporto redatto da Tomoya Obokata, relatore speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di schiavitù. Un rapporto (che potete leggere integralmente qui: ONU in Canada) redatto al termine di una missione in Canada svoltasi dal 23 agosto al 6 settembre 2023, durante la quale il relatore speciale si è recato a Ottawa, Moncton, Montréal, Toronto e Vancouver e ha incontrato rappresentanti dei governi a tutti i livelli, agenzie e dipartimenti, organizzazioni e sindacati, aziende e lavoratori, associazioni.
Il suo obiettivo era quello di valutare “gli sforzi del governo canadese per prevenire ed affrontare le forme contemporanee della schiavitù, al fine di identificare le buone pratiche e le sfide attuali”. Le sue conclusioni sono un atto di denuncia pesantissimo, con una sfilza di raccomandazioni finali nelle quali invita, di fatto, il governo federale canadese a cambiare radicalmente tutte le proprie politiche dell’immigrazione che rappresentano, secondo lo stesso relatore speciale, una sorta di “moderna forma di schiavitù”.
Il riferimento è, in particolare, al programma dei lavoratori temporanei stranieri, che mette i lavoratori stessi in un ingiusto squilibrio rispetto ai datori di lavoro. In estrema sintesi, il programma consente ai datori di lavoro di assumere lavoratori stranieri per ricoprire posti di lavoro temporanei quando non riescono a trovare canadesi qualificati: questi lavoratori stranieri, dunque, entrano in Canada con un permesso di lavoro che però è “chiuso”, cioè possono lavorare solo per quel datore di lavoro e se, per un qualsiasi motivo, perdono quell’impiego, vengono “deportati”, cioè costretti a lasciare il Canada senza neppure avere la possibilità di trovare una nuova occupazione. Questo li mette, inevitabilmente, in una condizione di estrema debolezza nei confronti del datore di lavoro, che può di fatto esercitare pressioni sul lavoratore e, nella peggiore delle ipotesi, ricatti di ogni tipo. “Il relatore speciale ha ricevuto segnalazioni di sottopagamento e furto salariale, abusi fisici, emotivi e verbali, orari di lavoro eccessivi, pause limitate, lavoro extracontrattuale, doveri manageriali non compensati, mancanza di dispositivi di protezione individuale anche in condizioni pericolose… e le donne hanno denunciato molestie sessuali, sfruttamento, abuso”, si legge nel rapporto dell’ONU.
Una situazione nella quale si trovano, in questo momento, decine di migliaia di persone: il numero dei lavoratori impiegati attraverso questo programma è infatti cresciuto notevolmente negli ultimi anni e se nel 2018 i titolari di questo tipo di permesso (il “work permit”) erano poco più di 84.000, nel 2022 erano quasi 136.000. Tutte persone con il “sogno” della Residenza Permanente (PR), unico modo – in un sistema simile – per poter migliorare la propria posizione, cambiando lavoro e retribuzione, e soprattutto acquisendo diritti che non si hanno nella condizione di “lavoratori temporanei”. Ma la PR è quasi un miraggio per i più. Infatti, il programma in questione – con il relativo percorso verso la PR – è estremamente farraginoso e poco chiaro e, soprattutto, favorisce determinate categorie di persone, di fatto discriminandone altre (“l’inclusivo Canada”…).
L’ONU invita dunque il governo canadese a “porre fine all’uso dei regimi di permessi di lavoro chiusi e consentire a tutti i lavoratori il diritto di scegliere e cambiare il proprio datore di lavoro in qualsiasi settore senza restrizioni o discriminazione” ed a “garantire che tutti i lavoratori migranti abbiano un chiaro percorso verso la residenza permanente dal momento del loro arrivo nel Paese”. E queste sono soltanto due delle decine di raccomandazioni contenute nel rapporto che di fatto smonta definitivamente la favoletta del “Canada che accoglie e che include” e del “Canada delle mille opportunità”. Forse lo era una volta, ma adesso non più. E lo dice l’ONU…
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