Cultura

Le maschere, Venezia e il Carnevale:
tra leggenda e realtà

VENEZIA – Sin dai tempi antichi la maschera ha avuto due funzioni: quella di celare l’identità e di trasformare la natura di chi la indossa. Indossando una maschera (non dimentichiamolo, in latino persona) nascondiamo al mondo i nostri tratti ed assumiamo le sembianze di chi o di ciò che ci pare. In prima battuta sono il teatro e le cerimonie religiose ad assumere il costume di indossare questi semplici oggetti concavi che ci velano, oggetti dal grande potere metamorfico. E in questi giorni di galani e frittelle come non pensare alle maschere colorate che popolano le calli e i campielli lagunari fino alle grandi sfilate in piazza San Marco? Ma la maschera ha sempre fatto parte della tradizione veneziana, anche slegata dal Carnevale? Scopriamolo insieme.

Il Carnevale di Venezia è sicuramente una delle ricorrenze italiane più conosciute ed ammirate al mondo grazie ai numerosi eventi organizzati ogni anno, dal volo dell’angelo o della colombina in piazza San Marco ai vari balli mascherati che fanno rivivere gli splendori dogali nei nobili palazzi sparsi per la città.

Storicamente il Carnevale era un periodo che durava da ottobre ai giorni pre-pasquali in cui, tra le molte attività ludiche, si organizzava la stagione teatrale ed operistica che, altrimenti, taceva negli altri mesi dell’anno. Alla fine del 1200 la città di Venezia dichiarò il Carnevale festività cittadina e da allora, fino alle conquiste napoleoniche della fine del ‘700, fu una costante per la popolazione. Alla fine del medioevo nasceva la figura del mascarero, ovvero l’artigiano che lavora il cuoio, la cartapesta, gesso e garza decorandola in maniera più o meno sfarzosa. L’Arte dei Mascareri (mascherai) aveva anche un proprio statuto, chiamato la Mariegola, conservato nell’Archivio di Stato di Venezia che risale al 1436.

Le prime leggi della Repubblica Serenissima sulle maschere e il loro uso (insieme a quello di cappe e tabarri sotto le cui falde era facile nascondere spadini ed armi) risalgono al 1268. Nel Settecento – il secolo di Antonio Vivaldi, Carlo Goldoni, Giacomo Casanova e Lorenzo da Ponte – la maschera più usata era la bauta (o bautta), costituita dal zendal (o cappuccio) di pizzo o seta, un tricorno e la larva – una maschera bianca – e da un tabarro (mantello nero). La parola “larva” deriva anch’essa dal latino e significa fantasma. Il successo della bauta era ed è sicuramente legato alla sua semplicità e al fatto che permetteva di muoversi a Venezia senza essere riconosciuti: sovrani in incognito, educande, agenti segreti, spie papaline, monache viziose uscite di nascosto dai conventi potevano muoversi liberamente e con discrezione.

Ancora oggi la bauta è una delle figure più richieste: permette di bere e mangiare senza togliersi la maschera, distorce la voce, si usa per strada, al casinò, a teatro, alle feste, negli incontri galanti e ogni volta che si desidera il totale anonimato. Ma con l’avvento delle truppe napoleoniche prima e la dominazione austriaca dopo, il Carnevale non perse solo di vigore ma venne ufficialmente bandito dalle autorità straniere di stanza in laguna. Tra l’ ‘800 e i primi decenni del ‘900 sono pochi e non memorabili i balli mascherati, avulsi spesso dalla ricorrenza carnascialesca.

È subito dopo gli anni di piombo – gli anni ’70 – che Venezia arriva a riscoprire la tradizione dei mascheramenti per le calli della città, tra giocolieri, saltimbanchi e teatrini in strada. Precisamente nel 1979 il Carnevale conosce nuova vita grazie a feste spontanee dei cittadini veneziani, riappropriatisi di campi e campielli per travestirsi e ballare, un avvenimento che non si verificava da tempo.

Il 1980 è l’anno che consacra la rinascita ufficiale del Carnevale in laguna: i festeggiamenti spontanei dei cittadini vengono non solo replicati ma assumono proporzioni straordinarie grazie al regista Maurizio Scaparro (che ci ha lasciati il 17 febbraio di quest’anno a 90 anni) a cui viene affidata quella che oggi si chiama direzione artistica di un evento che coinvolge l’intero tessuto urbano, canali inclusi: con la sua incomparabile e colta creatività, Scaparro immagina la città come un unico grande palcoscenico su cui si dipanano i lazzi di saltimbanchi e gli scherzi della popolazione in maschera. È l’anno del famoso “Carnevale del Teatro” che accoglie in città grandi attori e commedianti, tra i quali Dario Fo.

Ed è proprio in questo nuovo slancio di entusiasmo che nel 1982 nasce il noto gemellaggio tra Napoli e Venezia che porterà quest’ultima ad essere letteralmente invasa da centinaia di Pulcinella. Da allora la storia del Carnevale lagunare – che ad oggi dura poco più di una decina di giorni e culmina nei festeggiamenti del Martedì Grasso – è cosa nota; maschereri e mascherere mettono al servizio di clienti e turisti l’antica arte riscoperta nel secondo Novecento, una tradizione artigiana che rende le vetrine delle botteghe veneziane colorate e ha fatto della maschera il simbolo per eccellenza di Venezia.

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