Cultura

In memoriam Petri. Addio a Cardin

VENEZIA – Lo incontrai “inconsciamente“ diciotto anni fa ad un evento organizzato a Villa Revedin per promuovere le eccellenze dell’entroterra veneziano: ero un bambino, suonavo il violino nei Giovani Archi Veneti ed eravamo lì per omaggiare gli 80 anni del grande stilista.

Di lui mi ricordo gli occhiali da vista un po’ inclinati, il doppiopetto impeccabile e quelle grandi mani da sapiente ed infaticabile lavoratore delle campagne venete. Delle mani messe al servizio di una mente lungimirante, fino all’ultimo innovatrice, futuristica e futuribile.

Pietro Cardin (nato a San Biagio di Callalta in provincia di Treviso) è stato questo e molto altro: un acuto osservatore del suo presente, immaginifico creatore del futuro, visionario anticipatore di fenomeni di massa che sarebbero stati riconosciuti tali decenni più tardi. In parte, per questo, un genio incompreso.

Tutto quello che Cardin (nella foto) ha creato è stato “nuovissimo”: cresciuto alla corte di Dior, abbeveratosi alla fonte della Schiaparelli, Pietro (presto francesizzato Pierre) inventò il futuro. Seppe intuire il potenziale del concetto del marchio (il brand): da lì la linea di profumi, biancheria, oggetti per la casa, macchine di lusso e mobili. Fu il primo a sfilare ed aprire negozi in Russia, India, Giappone.

Come non ricordare il palazzo delle bolle, la sua villa a Cannes, o il suo teatro di vetro a Parigi? La giacca-pagoda con le spallone sul finire degli anni ’70, gli abiti cinetici, il vestito a palloncino, i cappelli-scudo e le visiere (oggi così attuali in tempi di pandemia globale)?

Nel mondo dell’automobilismo nacque la linea Cardin Evolution, con muso appuntito e parafanghi allungati, interni con velluti preziosi, un videoregistratore Betamax e una fascia di lucine lungo tutta la targa.

Nel 1959 fu il primo a lanciare il prêt-à-porter ai grandi magazzini Printemps parigini, la collezione “Space Age” negli anni della corsa alla luna, con abiti bianchi e forme geometriche. E poi gli abiti con i tagli, le tute catsuit lavorate a maglia, i pantaloni di pelle attillati e i maglioni con le maniche a pipistrello.

Nel ’64 arrivò “Cosmocorps”, una linea che impiegava materiali insoliti come il vinile, la plastica e i tessuti sintetici. Immaginò e commercializzò la moda unisex con abiti che prescindono il genere sessuale, una vera rivoluzione (ancora oggi).

Del 2018 è la sua sfilata sulla Grande Muraglia cinese in cui compaiono giacche, cappucci e tute che a noi sembrano cose note ma che lui aveva già disegnato nei primi anni ’60, ben cinque decenni fa.

Ricordare in poche righe Pietro Cardin, scomparso lo scorso 29 dicembre, sarebbe un errore. Quello che fece lui lo rifecero gli altri “grandi” una manciata di anni più tardi. Bisogna (ri)cominciare a studiarlo come pensatore, non solo come stilista. Un uomo che non era al passo coi tempi perché era lui che segnava il ritmo dei tempi stessi.

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