TORONTO – Le carceri del’Ontario? Disumane e mal gestite. È un quadro inquietante quello dipinto dalle due azioni collettive contro la Provincia contro l’uso del “lockdown” nelle strutture correzionali dell’Ontario come modo per far fronte alla carenza di personale: un metodo utilizzato dal 2009 al 2017, che avrebbe causato danni sia alle persone detenute in quel periodo sia agli immigrati che sono stati trattenuti in quelle strutture in attesa che la loro posizione venisse chiarita. Danni per i quali adesso vengono chiesti risarcimenti, apunto attraverso le due azioni legali collettive.
Un “blocco” (o lockdown) si verifica quando i detenuti, a causa di carenza di personale in carcere oppure di emergenze, vengono tenuti nelle loro celle per un lungo periodo di tempo e non sono in grado di partecipare alle attività quotidiane. E secondo le cause legali avviate, i blocchi dovuti a problemi di personale sarebbero diventati “cronici”, causando danni gravi e continui alle persone colpite.
Secondo i dati ottenuti dalla CBC, ogni anno in tutta la provincia dell’Ontario, tra il 2010 ed il 2017, sono stati segnalati in media 440 blocchi relativi al personale delle strutture complete, oltre a centinaia di altri blocchi “parziali”, in cui solo alcune sezioni di una struttura sono stati colpiti.
“Il modo più semplice, economico e crudele per affrontare un problema di personale è quello di procedere al lockdown. Ogni volta che si è presentata l’opportunità, questo è ciò che l’Ontario ha scelto”, ha detto Scott Hutchison, uno degli avvocati che rappresentano i querelanti, in un’intervista alla CBC. Tra le due azioni collettive, Hutchison ha affermato che ci sono più di 100.000 potenziali ricorrenti. Ed il risarcimento complessivo richiesto è di 1,5 miliardi di dollari per i danni causati ai detenuti (oppure agli immigrati), soprattutto di natura psicologica.
Il dottor Adekunle Garba Ahmed, professore di Psichiatria all’Università del Saskatchewan a Saskatoon, afferma che gli impatti dei “blocchi” sono simili a quelli dell’isolamento e possono peggiorare le condizioni di salute mentale esistenti o crearne di nuove. E la CBC riporta, a titolo di esempio, la storia di un detenuto per immigrazione, Alì, che ha dovuto far fronte – durante la sua detenzione – a numerosi “blocchi” e ricorda ancora l’umiliazione di dover usare un bagno in una cella condivisa, di non poter accedere ad un telefono per contattare gli avvocati legati alla sua richiesta di asilo e di non avere accesso all’aria aperta.
A sua difesa, la Provincia dell’Ontario nega che gli effetti del “lockdown” siano simili alla segregazione. Nega inoltre che i blocchi del personale “si siano verificati con la frequenza o la durata presunta” nelle cause legali e ha affermato che eventuali blocchi “erano giustificati ed imposti solo dove necessario per garantire la sicurezza dei detenuti e del personale. L’Ontario ha sempre agito in modo ragionevole, in buona fede e con il dovuto rispetto per i diritti della Carta”.
Il processo per discutere le azioni legali è previsto nel 2025.
Nella foto in alto, il Toronto South Detention Centre (foto dal sito del governo dell’Ontario: www.ontario.ca)