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Kabul, la protesta delle donne
non si ferma

KABUL – “Un’altra epica protesta a #Kabul con le donne afgane che si rifiutano di smettere di marciare quando si scontrano con i #talebani”. Il tweet (qui sotto) è di ieri ed è stato postato da Fazila Baloch, attivista che da giorni pubblica le immagini delle proteste delle donne di Kabul.

Nella capitale talebana, infatti, non passa giorno senza che le donne afghane, ormai prive di qualsiasi diritto e libertà, non scendano in piazza per manifestare il loro dissenso. E, grazie ai social network, la loro protesta viene amplificata a livello mondiale.

“I talebani devono capire questo: l’Afghanistan di oggi non è quello che hanno governato fino a 20 anni fa. Allora hanno fatto quello che hanno voluto, e noi siamo rimaste in silenzio. Ma adesso non più. Non accetteremo tutto ciò che dicono, non indosseremo il burqa né resteremo chiuse in casa”, ha detto Ramzia Abdekhil, una delle manifestanti, al quotidiano turco Hurriyet che ha raccolto diverse testimonianze poi rilanciate dalle agenzie di stampa e dai portali di informazione on line di tutto il mondo. “Non abbiamo paura dei talebani. Continueremo la lotta per il nostro lavoro e per uguali diritti. Nessun governo al mondo dovrebbe riconoscere i talebani, se governeranno come 20 anni fa”, ha aggiunto la donna, intervistata insieme ad altre due dimostranti nella zona ‘per famiglie’ di un ristorante della capitale afghana, visto che alle donne non è più consentito sedere in pubblico con uomini che non facciano parte della loro famiglia. “Lavoravo in un bar e contemporaneamente studiavo all’università.

Quando i talebani hanno preso il potere, il bar ha chiuso e io ho perso il lavoro. Non so se potrò tornare all’università. Prima eravamo libere, potevamo lavorare e uscire da sole. Ma ora siamo chiuse a casa. Siamo preoccupate”, ha raccontato Sureyya Nesret, un’altra manifestante intervistata. Nonostante i rischi, le attiviste assicurano di voler continuare il loro impegno, come spiega Maryam Meshel Hashimi: “Quando i talebani sono arrivati, solo le donne hanno alzato la voce. Ma se gli uomini ci sostengono, possiamo ottenere molto contro i talebani”.

Ma nemmeno l’offensiva dei nuovi governanti contro tutto ciò che è cultura, arte e libertà si arresta. Soprattutto se riguarda le donne.

Una delle foto-simbolo degli ultimi giorni è quella di un pianoforte a coda, completamente danneggiato e sfasciato (nella foto qui sotto, tratta dai social network): faceva parte degli strumenti della prima e unica orchestra femminile dell’Afghanistan.

La musica era già vietata fra il 1996 e il 2001 ed era tornata solo dopo la cacciata dei talebani. Oggi, con il loro ritorno, le sette note sono di nuovo nel mirino – non solo in senso metaforico, alla luce della barbara uccisione del cantante afghano Fawad Andarabi, nei giorni scorsi – e lo sono soprattutto quando coinvolgono le donne, vittime predilette del nuovo governo. È di ieri la notizia del nuovo divieto: niente sport “rosa”. Le donne potrebbero scoprirsi troppo.

Drammatica la testimonianza, riportata da vari quotidiani, di Hamidullah, allenatore di calcio femminile. “I talebani sono venuti a cercarmi a casa, non mi hanno trovato solo perché sono stato più veloce di loro a scappare, a trovare un rifugio lontano. Ma non posso più vivere così, perennemente minacciato, nascosto. Riguardo su Facebook le foto di partite che sembrano vecchie di decenni, non ho più notizie delle mie allieve. In un attimo siamo ripiombati nel buio più totale”. Hamidullah è ricercato perché, dice “allenavo le ragazze. Una cosa a loro decisamente non gradita”.

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