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Codice di condotta alimentare, nessuno ha la “ricetta” giusta

TORONTO – Il “codice di condotta alimentare canadese” per frenare la corsa dei prezzi non è mai entrato in vigore perché, com’è noto, due fra le più grandi catene (Loblaw e Walmart) si sono rifiutate di firmarlo, sostenendo che avrebbe aumentato i prezzi invece che “calmierarli”. Ma secondo alcuni parlamentari il “codice” potrebbe invece aiutare davvero a ridurre i prezzi dei prodotti alimentari, come sarebbe successo – secondo alcuni sondaggi – in Australia e nel Regno Unito.

“Quando i codici di condotta sono stati introdotti in quei Paesi, ci sono stati effetti molto positivi sui prezzi dei negozi di alimentari”, ha affermato il deputato del Bloc Québécois Yves Perron in una riunione della commissione parlamentare competente, il 7 dicembre scorso.

Ma come funziona il “codice” in questi Paesi? Come spiega CityNews, il Regno Unito ha un codice alimentare obbligatorio da più di un decennio: si applica ai quattordici maggiori rivenditori al dettaglio del Regno Unito che vendono generi alimentari e prevede anche il potere di multare i rivenditori fino all’1% delle loro entrate. In Australia, spiega ancora CityNews (nell’articolo What Australia and U.K.’s grocery codes can teach us about Canada’s food fight), il lancio del codice alimentare è avvenuto nel 2015: è volontario, ma una volta firmato diventa giuridicamente vincolante. Tutti i principali attori dell’industria alimentare australiana hanno aderito.

I risultati dei due “codici” sono contrastanti e poco chiari: uno sguardo all’inflazione alimentare dei due Paesi potrebbe suggerire una certa stabilizzazione dopo l’implementazione dei “codici”, ma è difficile collegare i cambiamenti nell’inflazione alimentare ad un singolo fattore. Sia nel Regno Unito che in Australia, infatti, l’inflazione alimentare annuale già variava ampiamente da un anno all’altro prima dell’introduzione dei codici alimentari: alcuni anni più del 9%, altri inferiori all’1% o addirittura negativi. Dopo l’implementazione del codice britannico, i dati sull’inflazione alimentare annuale nel Regno Unito sembravano stabilizzarsi leggermente, rimanendo al di sotto del 3% dal 2014 al 2022 (e negativi dal 2014 al 2016). Dopo l’introduzione del codice australiano, l’inflazione alimentare è rimasta al di sotto dell’1% fino a quando non ha iniziato ad accelerare nel 2019.

Sondaggi regolari tra i fornitori mostrano che i “codici” del Regno Unito e dell’Australia (che coinvolgono prevalentemente, entrambi, i fornitori ed i rivenditori ed i rapporti fra di loro) hanno comunque portato dei miglioramenti. Il codice alimentare canadese condivide aspetti sia del modello britannico che di quello australiano, ma senza tutti i principali attori a bordo, non funzionerà, dicono molti esperti.

E in Italia? Nell’autunno del 2023, il governo ha introdotto il “trimestre anti-inflazione”: una selezione di articoli a prezzo contenuto, fra i quali beni di prima necessità, alimentari e non alimentari di largo consumo, compresi i prodotti per l’infanzia e per la cura della persona. Un “pacchetto” di articoli ben nutrito, dunque, che è stato ribattezzatto “carrello tricolore”. Il numero totale dei punti-vendita che hanno aderito a quell’iniziativa è stato 31.524. Ma il successo non è stato quello sperato: al termine della promozione, infatti, il prezzo dell’88% dei prodotti del “carrello tricolore” (605 su 689) non è aumentato, come sarebbe stato invece comprensibile se la promozione avesse davvero influenzato i prezzi. Secondo l’associazione di consumatori “Altroconsumo”, non è un male che i prezzi non siano aumentati, anzi, “ma questo risultato non conferma una vera efficacia dell’iniziativa di calmieramento dei prezzi”.

Nessun governo, insomma, sembra avere la “ricetta” per calmierare i prezzi.

Foto di Scott Warman da Unsplash 

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