TORONTO – Carceri-lager in Ontario: è vero o no? Le accuse mosse in una class action contro condizioni di detenzione definite “disumane” avranno probabilmente una risposta, positiva o negativa, perché la Corte Superiore di Giustizia dell’Ontario ha respinto tutte le quindici obiezioni sollevate dagli avvocati del governo che cercavano di fermare il procedimento.
Dunque, va avanti la causa che rappresenta 8.360 persone detenute in 87 carceri provinciali e territoriali dalla Canada Border Services Agency (CBSA) tra il 2016 e il 2023. Si tratta di detenuti immigrati che “sono stati incarcerati nelle carceri provinciali (soltanto perché la loro identità non è chiara o per altri motivi non legati a crimini) e hanno incontrato le stesse condizioni dei detenuti criminali, inclusa la commistione con delinquenti violenti, l’uso di restrizioni come catene e manette, perquisizioni e severe restrizioni al contatto ed al movimento”, ha scritto il giudice Benjamin Glustein.
I cittadini stranieri e residenti permanenti detenuti dalla CBSA ai sensi della legge sull’immigrazione e sulla protezione dei rifugiati non sono accusati di alcun crimine e “secondo il diritto canadese e internazionale, la detenzione degli immigrati è di natura amministrativa e non può essere punitiva”, si legge nella class action che chiede un risarcimento collettivo di oltre 100 milioni di dollari. “Tuttavia, la CBSA ha una pratica di lunga data di detenzione di migliaia di detenuti immigrati nelle carceri provinciali attraverso accordi con Province e Territori. Questa pratica viola i diritti dei detenuti nella Carta”.
Uno dei portavoce dei detenuti per immigrazione è Tyron Richard, che ha trascorso diciotto mesi in tre diverse carceri di massima sicurezza in Ontario da gennaio 2015 a luglio 2016, anche se non era considerato un pericolo. Era trattenuto soltanto per il “rischio di fuga”. E ha raccontato che mentre era in prigione è stato sottoposto a dozzine di perquisizioni corporali. “Mi è stato chiesto di spogliarmi, girarmi, piegarmi, allargare le natiche e sottopormi all’ispezione dell’ano da parte di una guardia con una torcia elettrica, e di sottopormi ad un’ispezione visiva sotto ed accanto ai miei genitali”, ha detto Richard nella sua dichiarazione giurata, riportata dalla CBC. “Descriverei la mia vita in prigione come un inferno, dove ho pianto quasi ogni giorno”. E non gli è stata concessa alcuna privacy nemmeno per andare in bagno, che “era aperto nella stanza proprio accanto alla porta”. Inoltre, la comunicazione con amici e familiari era estremamente difficile. “Le visite erano senza contatto e venivano condotte in cabine attraverso il vetro, utilizzando un telefono e limitate a soli 15-20 minuti”, ha detto Richard che dopo quell’esperienza ha riacquistato lo status di residente permanente e sta facendo domanda per diventare cittadino canadese. “Sono orgoglioso di essere in grado, adesso, di combattere questa pratica disumana per contribuire a garantire che non accada ad altri”, ha detto Richard.
Nella foto in alto: la prigione di Kingston, Ontario (foto di Larry Farr da Unsplash)