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“Il Canada non è in vendita” e cerca l’unità ma le aziende premono: “Fate presto”. Il cappello di Doug Ford

TORONTO – Serve una “forte risposta nazionale” alle minacce di Donald Trump che si concretizzeranno fra pochi giorni, quando il presidente eletto farò il suo ingresso nello Studio Ovale della Casa Bianca: tariffe del 25% su tutti i beni canadesi in arrivo negli Stati Uniti. Nel tentativo di trovarla, quella “forte risposta nazionale”, ieri il primo ministro Justin Trudeau (dimissionario, in attesa del nuovo leader del suo partito) ha incontrato a Ottawa i premier canadesi per cercare una strategia comune.

“Nessuno di noi vuole vedere le tariffe erodere una partnership di successo tra Canada e Stati Uniti”, ha detto Trudeau su Twitter X, prima dell’incontro. “Ma saremo pronti, se ne avremo bisogno”.

Il premier dell’Ontario, Doug Ford, che aveva esortato Trudeau ad incontrare i premier di persona, ha affermato che, sebbene un embargo sulle esportazioni di energia e minerali essenziali verso gli Stati Uniti sia l’ultima cosa che vorrebbe vedere (tant’è che proprio ieri lo stesso Ford ha rilanciato il suo piano “Fortress Am-Can” per rinforzare la partenership Canada-Usa in chiave anti-cinese soprattutto sui minerali critici), secondo lui il Canada non dovrebbe escludere alcun mezzo per infliggere danni economici agli Stati Uniti se la controversia tariffaria dovesse intensificarsi. Il Canada, ha detto Ford, avrà bisogno di “dure tariffe di ritorsione per difendere il Paese”. E poi ha aggiunto: quando attaccano il nostro Paese, quando attaccano la nostra gente, quando attaccano il lavoro dei canadesi lavoratori, non possiamo stare seduti e lasciarli continuare ad attaccare. Dobbiamo reagire con ogni singolo strumento che abbiamo nella nostra cassetta degli attrezzi e questo è il messaggio ai premier oggi”.

Mentre parlava, Ford indossava un cappello con la scritta “Canada Is Not For Sale”, “Il Canada non è in vendita” (in riferimento all’idea di Trump di farne il 51esimo Stato Usa). E l’ha anche pubblicizzato, con un post (qui sotto, lo screenshot) su X Twitter: “Grazie Liam ed Emma di Jackpine per il fantastico cappello. Sono stato orgoglioso di indossarlo questa mattina per trasmettere il messaggio che dobbiamo mettere il Paese al primo posto. Ogni giorno i canadesi si fanno avanti, uniti e orgogliosi. Come dice il cappello, il Canada non è in vendita. Prendete il vostro cappello oggi stesso!” ha scritto Ford, aggiungendo il link alla pagina web nella quale il cappello è in vendita a 40 dollari.


“Mentre le questioni sulla nostra sovranità nazionale vengono messe in luce dal nostro vicino del Sud, questa collezione è un invito giocoso per i canadesi a dichiarare: il Canada non è in vendita. A parte la politica federale caotica, siamo ancora il vero Nord, forti e liberi”, è la dichiarazione sul sito web dell’azienda che vende il “cappello patriottico”, “orgogliosamente disegnato a Ottawa” da Emma, ​​​​progressista, e Liam, conservatore. “I cappelli sono una dichiarazione politica, ma no, non sono affiliati a nessun partito politico. Liam e io abbiamo opinioni politiche piuttosto diverse in generale, quindi il fatto che risuoni in entrambi dice qualcosa. Non si tratta di rosso contro blu, si tratta di stare insieme come canadesi”, afferma Emma in un’intervista sul sito web della loro azienda, che si può leggere integralmente  qui.

CANADA vs USA, o…? Le altre dichiarazioni

Gli altri premier si sono succeduti nelle dichiarazioni, ma nessuno sembra intenzionato a scatenare una vera e propria “guerra economica” contro gli Usa. La premier dell’Alberta, Danielle Smith, che nei giorni scorsi ha incontrato Donald Trump nella sua casa di Mar-a Lago in Florida, aveva già evidenziato la necessità di “sottolineare l’importanza reciproca del rapporto energetico tra Stati Uniti e Canada”: la Smith, insomma, non è favorevole al blocco delle esportazioni di energia verso gli Stati Uniti e ha messo in guardia Ottawa da questa mossa di ritorsione. “Petrolio e gas sono di proprietà delle province, principalmente dell’Alberta, e non lo tollereremo”, aveva già detto in precedenza la Smith.

Anche il premier del Saskatchewan, Scott Moe, ha respinto l’idea di limitare le esportazioni di energia e agricoltura canadesi verso gli Stati Uniti.

Il premier di Newfoundland and Labrador, Andrew Furey, ha affermato che il Canada ha bisogno di una “risposta forte” e “proporzionata” ai dazi, se Trump dovesse andare avanti. “Ho sempre detto che dobbiamo essere molto uniti, molto strategici e molto proporzionati nel modo in cui rispondiamo a qualsiasi dazio dagli Stati Uniti”, ha detto Furey ieri a Ottawa.

Il premier del Quebec, Francois Legault, ha a sua volta affermato che i dazi di ritorsione non sono la prima scelta, ma se Trump impone dazi al Canada, allora si dovrà preparare un piano simile.

GLI APPELLI DELLE AZIENDE CANADESI

Intanto, i produttori ed esportatori canadesi hanno chiesto “azioni urgenti” per proteggere il settore manifatturiero, attraverso una lettera inviata a Trudeau ed ai leader federali dei partiti. Il gruppo, che rappresenta oltre 2.500 aziende, vuole che il governo fornisca un’agevolazione tariffaria a breve termine, incentivi agli investimenti e supporto alla catena di fornitura se Trump darà seguito alla sua minaccia. “Se i dazi statunitensi si concretizzeranno, rappresenteranno un rischio immediato e grave per migliaia di aziende e lavoratori in tutto il Paese”, ha affermato Dennis Darby, presidente e CEO di CME (potete leggere qui il comunicato integrale e la lettera inviata al primo ministro ed ai leader federali dei partiti). “Senza un’azione governativa rapida e mirata, questi dazi devasteranno gli investimenti, interromperanno le catene di fornitura e indeboliranno la base industriale del Canada”, ha aggiunto.

Anche le aziende canadesi sono sempre più preoccupate per il potenziale impatto delle tariffe. La Canadian Federation of Independent Business (CFIB) ha lanciato un avvertimento: una tariffa del 25 percento imposta dagli Stati Uniti e qualsiasi potenziale tariffa di ritorsione dal Canada costringerebbero due terzi delle piccole imprese ad aumentare i prezzi. “Una guerra commerciale sarebbe disastrosa sia per le piccole imprese canadesi che per i consumatori. Dobbiamo garantire che mentre i governi affrontano la minaccia delle tariffe con le loro controparti americane, debbano anche concentrarsi sul mantenimento della competitività delle aziende canadesi in patria”, ha affermato Corinne Pohlmann, vicepresidente esecutivo per la difesa presso la CFIB. “La soluzione è ovvia. Questo è un SOS a tutti i governi: ridurre la burocrazia, eliminare le barriere commerciali interne ed alleggerire il carico fiscale sulle piccole imprese”.

La CFIB ha inviato in proposito una lettera ai premier per esprimere preoccupazioni e fornire raccomandazioni su come rispondere. A cominciare da una maggiore libertà per le aziende canadesi nel mercato interno. “È ridicolo – ha sottolineato Pohlmann – che sia ancora più facile per le piccole imprese canadesi fare affari all’estero od oltre confine che all’interno del loro Paese. Ora è il momento che i governi (provinciali) si facciano avanti e sostengano le piccole imprese canadesi in modo che possano essere più produttive e competitive di fronte alle minacce tariffarie”.

Nella foto in alto: il premier dell’Ontario, Doug Ford, con il cappello “Il Canada non è in vendita” (screenshot dal video di CPAC – YouTube)

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