Canada

Francis Leo è ufficialmente cardinale. “Sono commosso. E fiero delle mie radici italiane”

CITTÀ DEL VATICANO – Nel decimo Concistoro del pontificato di Papa Francesco svoltosi sabato nella basilica vaticana, gremita di 5.500 fedeli, sono stati creati 21 nuovi cardinali, provenienti da ogni angolo del mondo: dall’Algeria all’Iran, dall’Ucraina al Cile ed al Brasile, dall’Argentina al Giappone, passando per Roma, Napoli e Torino, i fedeli di tutti i cinque continenti si sono riuniti in Vaticano per rendere omaggio alle “loro” nuove porpore.

I gruppi più numerosi erano, chiaramente, quelli al seguito dei cardinali italiani, in mezzo ai quali c’era anche lui, Francis Leo, l’arcivescovo di Toronto. “Ehi, pure io sono italiano. Ho origini calabresi, sono figlio di emigrati”, ha detto il neo-cardinale Leo, dispensando a chiunque andasse ad omaggiarlo un ampio sorriso e la benedizione “Dio t’accompagni”.

Come riferisce Vatican News (qui), Leo si è detto “veramente felice” per questo momento di Chiesa vissuto insieme a confratelli, amici, parenti. “Sono commosso per la scelta del Santo Padre, indegnamente faccio parte di questo Collegio per servire il Signore. La vedo come una chiamata ad essere strumento di comunione ecclesiale, unità, testimonianza, appartenenza alla Chiesa con ogni battito del cuore e con ogni goccia di sangue”, ha detto Leo, figlio di emigrati italiani in Canada, arrivato a Roma con il padre “mezzo calabrese e mezzo campano” che è tornato in Italia per la prima volta dopo quasi settant’anni (nella prima foto qui sotto). Con loro, una delegazione di canadesi della quale facevano parte – tra gli altri – anche Teresa Lubinski, fiduciaria del TCDSB, il capo della polizia di Toronto, Myron Demkiw, il deputato conservatore Michael Barrett (nelle altre tre foto sotto, tutte gentilmente fornite da Teresa Lubinski).

“Sarò uno strumento di unità”, ha dunque detto il neo-cardinale Leo, riprendendo la parola più ricorrente sia nell’omelia di Papa Francesco che nel discorso introduttivo del più anziano di sempre a ricevere il cardinalato, l’ex nunzio apostolico Angelo Acerbi, 99 anni, che ha ricordato proprio la necessità del “camminare insieme”.

Nell’omelia, poi, il Papa ha appunto ribadito uno dei pilastri del suo magistero: non rincorrere i primi posti ma coltivare, in umiltà, la fraternità. Nel gruppo dei discepoli “il tarlo della competizione distrugge l’unità”, ha detto il Pontefice. I porporati sono invitati a non cadere in questa tentazione, bensì ad abbattere i muri dell’inimicizia. È questo lo spirito che fa la differenza, in un mondo segnato da una “competizione corrosiva”, in una società dominata dall’ossessione dell’apparenza e dalla ricerca dei primi posti. “Per questo, posando il suo sguardo su di voi, che provenite da storie e culture diverse e rappresentate la cattolicità della Chiesa, il Signore vi chiama ad essere testimoni di fraternità, artigiani di comunione e costruttori di unità. È questa la vostra missione” ha concluso il Papa, che non a caso ha introdotto, fra le nuove 21 porpore, cinque nuove provenienze geografiche: Algeria, Australia, Ecuador, Iran, Serbia.

Il Collegio cardinalizio si compone adesso di 253 cardinali. Uno di loro sarà Papa.

La foto qui sopra è tratta dal canale YouTube di Vatican News, dove è possibile rivedere l’intera cerimonia (cliccando qui)

I media italiani stanno riservando una grande attenzione al nuovo cardinale Francis Leo. Il quotidiano Avvenire ieri ha pubblicato un’ampia intervista che riportiamo qui di seguito, integralmente, riprendendola dal sito www.avvenire.it …nell’articolo, si sottolinea come tra i 21 nuovi cardinali creati sabato nel Concistoro ci sia anche l’arcivescovo di Toronto, Francis Leo, il quarto più giovane della tornata con i suoi 53 anni.

Nato a Montréal da genitori emigrati dal Sud Italia, Leo è entrato nel Seminario della città capoluogo del Québec nel 1990, a 19 anni, nel 1996 è stato ordinato sacerdote e più tardi è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede, lavorando nella nunziatura in Australia e presso la Missione di Studio della Santa Sede a Hong Kong. Nominato vescovo ausiliare di Montréal nel 2022, l’anno successivo è diventato pastore dell’arcidiocesi di Toronto.

Arcivescovo e ormai cardinale Leo, accanto alla gioia ha anche qualche timore nel diventare un porporato?
“Direi di no, nessun timore. Sono stato chiamato a svolgere questo nuovo servizio ecclesiale – la vita è fatta di servizio – e ho accettato confidando nella grazia del Signore innanzitutto, poi nel sostegno dei fedeli, con le loro preghiere, degli angeli e dei santi. Non siamo mai soli, siamo una grande famiglia. Quindi non ho paura, farò del mio meglio, voglio servire con tutto il cuore, essere attento a quello che mi sarà chiesto di fare. Sono felice di poter dare il mio piccolo contributo alla missione della Chiesa”.

Cosa le ha detto suo padre quando ha saputo che lei sarebbe diventato cardinale? So che sua madre invece è mancata alcuni anni fa.
“Ha pianto, non ho capito bene quello che diceva, oltre a “tanti auguri”, perché piangeva. Era molto, molto contento”.

In che lingua parlavate in famiglia?
“Parlavamo e parliamo in italiano, o meglio nel nostro dialetto regionale”.

Calabrese o campano?
“Campano. Mia mamma, che è morta nel 2008, era campana, mio papà è mezzo campano e mezzo calabrese, ma a casa abbiamo sempre parlato il dialetto campano. La mamma fa la famiglia, come si dice”.

Quindi la possiamo annoverare anche fra i cardinali italiani.
“Certamente, ne sono fiero”.

Lei ha conseguito un dottorato in mariologia ed è fondatore della Canadian Mariological Society: da dove nasce la sua sensibilità mariana?
“Credo dalla famiglia, dove abbiamo mantenuto sempre una sana devozione mariana, e dalla comunità parrocchiale in cui sono cresciuto, dove la figura della Madonna era molto presente. Fin da bambino ho sentito questa presenza materna, mariana, nella mia vita personale, nella mia fede. Anche crescendo Maria mi ha sempre affascinato, ho quindi potuto studiarne la teologia e vederne sempre meglio la bellezza, come stella dell’evangelizzazione, come nostra sorella, nostra madre, come colei che ci guida e ci sostiene nel cammino”.

Che rapporto ha con la preghiera del Rosario?
“Dopo la Messa e l’ufficio divino è la mia preghiera preferita. È veramente un mezzo di meditazione, di contemplazione. Cerco di vedere gli avvenimenti della mia vita, alla fine di ogni giornata, attraverso i misteri del Rosario”.

È possibile rilanciare il Rosario oggi? C’è chi lo vede come una devozione del passato.
“Perché purtroppo lo ha capito male. È una preghiera antica e sempre nuova, come dice sant’Agostino di Dio. È una preghiera che porta molto frutto spirituale, che ha molto da insegnarci, per esempio sull’importanza dell’ascolto – con il suo il ritmo, con il suo ripetere parole d’amore – e sull’importanza di prendere del tempo per dialogare con il Signore”.

Lei è anche terziario domenicano: com’è nata questa sua seconda vocazione, per così dire?
“L’ho scoperta attraverso gli scritti e l’esempio di san Tommaso d’Aquino, che ho sempre ritenuto un modello di equilibrio tra fede e ragione, tra vita contemplativa e vita attiva, tra preghiera e studio. Per quanto riguarda la vita domenicana mi ha molto colpito il suo tratto mariano così vivo, per cui ho voluto entrare a far parte di questa comunità per partecipare della sua missione e dei suoi benefici spirituali. Una comunità che ha molto da dire al mondo di oggi, per esempio per quanto riguarda il dialogo tra la fede e la scienza, l’importanza della Parola di Dio, con la predicazione”.

Lei è stato ricevuto nella Fraternità sacerdotale di San Domenico nella basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma: come mai proprio lì?
“Studiavo lì di fronte, alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, andavo quasi tutti i giorni lì, sulla tomba di santa Caterina da Siena, e mi è venuto naturale iniziare il cammino con i domenicani della Minerva”.

C’è una lettura spirituale che ha fatto recentemente e che l’ha colpita, che vorrebbe segnalare?
“Sto rileggendo Henri de Lubac, i suoi scritti sul tema della maternità della Chiesa – un tema patristico, ma che anche papa Francesco sta facendo riscoprire – su come la Chiesa è donna, è vergine, è madre. È un tema importante perché molti hanno una visione della Chiesa inadeguata, incompleta, la vedono solo come un’istituzione o solo come comunità, mentre la Chiesa è un mistero, è un dono di Cristo. Dobbiamo riscoprire la Chiesa madre a maestra, diceva Giovanni XXIII, una madre attraverso la quale abbiamo avuto una vita nuova. È la Chiesa che nutre, che accompagna, che fa crescere i suoi figli attraverso la testimonianza, attraverso i sacramenti, la Parola. Dobbiamo amarla perché è nostra madre, dobbiamo difenderla e contribuire a far risplendere la sua bellezza”.

Qual è l’atteggiamento che bisogna avere di fronte a una secolarizzazione aggressiva quale quella che vive il Canada, ma anche l’Europa?
“Innanzitutto, non aver paura. Abbiamo il regalo più bello che ci possa essere, la fede, quindi non dobbiamo aver paura della cultura odierna. Secondo, rinforzare la famiglia come nucleo della società e dove la fede viene nutrita. Terzo, studiare, conoscere bene la nostra fede per difenderla – per rispondere alle obiezioni – per viverla e farla conoscere sempre meglio agli altri. Quarto, pregare: essere uomini e donne di profonda preghiera, di profonda spiritualità, disarma le voci critiche, riscalda il mondo freddo attorno a noi e fa risplendere la luce di Cristo. Questo ci permette di costruire ponti con il mondo. Non dobbiamo avere paura e non dobbiamo nemmeno essere arroganti, ma proporre Cristo e la sua dottrina con semplicità, con umiltà, con la forza del Vangelo, con parresia come dice papa Francesco. Rispetto e dialogo, ma sempre fedeli a chi siamo, come figli di Dio e membri di santa madre Chiesa”.

Lei ha un tono di speranza, mentre in tanti, almeno in Europa, di fronte alla Chiesa che si restringe serpeggia un senso di malinconia, di sfiducia.
“Occorre non dimenticare mai chi siamo, figli di Dio, discepoli di Cristo, templi dello Spirito Santo. La speranza sta dentro di noi. Cristo ha detto che sarà sempre con noi fino alla fine dei tempi. Con Cristo, diceva san Giovanni della Croce, abbiamo tutto, con lui abbiamo la fede, con lui abbiamo la grazia, con lui abbiamo il perdono, con lui abbiamo speranza, abbiamo vita eterna, abbiamo nuove possibilità, con lui abbiamo lo Spirito Santo che ci indica nuovi sentieri e ci apre sempre di più all’altro che è il Signore e agli altri”.

ARTICOLO ORIGINALE: L’intervista. Francis Leo: nella luce di Cristo non temiamo la secolarizzazione

 

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