TORONTO – I canadesi hanno il diritto di sapere chi sono (nomi e cognomi) i politici federali che hanno “consapevolmente” (e segretamente) collaborato con Paesi non proprio “amici” del Canada come Cina, India e Iran. La risposta è “no”, secondo i Liberali e secondo il governo di Justin Trudeau. Il vice primo ministro Chrystia Freeland, martedì, ha infatti eluso ogni domanda relativa alle esplosive conclusioni della commissione parlamentare per la sicurezza nazionale e l’intelligence (NSICOP), secondo le quali nella House of Commons del Canada ci sono parlamentari che, di fatto, “lavorano” per Paesi come Cina, India, Iran, ai quali avrebbero anche rivelato segreti di Stato.
“Lasciatemi dire solo questo: prendiamo le interferenze straniere davvero, davvero sul serio”, ha detto la Freeland. “Deve essere l’applicazione della legge a prendere le misure ed agire”, ha aggiunto, senza però fare riferimenti più precisi. Anche altri ministri, come riferisce Global News, sono stati pressati dai giornalisti ma nessuno apre bocca, se non per fare dichiarazioni generiche: i ministri Sean Fraser, Arif Virani e Dominic LeBlanc, tutti interpellati dai giornalisti, non hanno fatto nomi. Così come David McGuinty, presidente della commissione indagante.
Il rapporto NSICOP ha delineato diverse attività che coinvolgono parlamentari che collaborano con Paesi come Cina, India e Iran, inclusa l’accettazione di denaro o favori da parte di diplomatici. In uno degli esempi più gravi di interferenza straniera, un parlamentare avrebbe trasmesso informazioni riservate del governo federale canadese ad un “noto funzionario dell’intelligence di uno Stato straniero”. Fatti gravissimi, sui quali però – ministri a parte – i vari leader politici non sembrano sbilanciarsi più di tanto. Il leader dell’NDP Jagmeet Singh ha affermato che ci dovrebbero essere delle conseguenze se ci sono “prove evidenti” di collusione. “Non è possibile che un membro del parlamento possa continuare a lavorare in questo posto se sta aiutando un altro governo a interferire con la nostra democrazia. È semplicemente sbagliato”, si è limitato a dire Singh. Il leader del Bloc Québécois, Yves-François Blanchet, si è detto “preoccupato” per queste accuse. “Mi dà molto fastidio che nello stesso Parlamento dove lavoro alcune persone potrebbero volontariamente essere sotto l’influenza di potenze straniere”. Ma niente di più. Quanto ai Conservatori, non hanno posto una sola domanda sul rapporto.
La “freddezza” mostrata da tutti i partiti rispetto ai gravissimi fatti evidenziati dal rapporto si potrebbe spiegare con il fatto che, forse, il problema è “traversale”: quei parlamentari-spie potrebbero infatti essere di qualunque partito, perché il problema non è l’appartenza politica, ma l’origine. Pur non conoscendo i nomi dei parlamentari in questione, è plausibile supporre che siano di origine cinese, indiana e iraniana, visto che i Paesi “beneficiari” delle informazioni riservate sono Cina, India e Iran. Sorge, spontanea, una domanda: visto che l’IRCC (Immigration, Refugees and Citizenship Canada) fa “i raggi x” a tutti quelli che, una volta immigrati, intraprendono il percorso verso la cittadinanza (che poi consente di accedere alle cariche elettive), come hanno fatto i suoi funzionari a non accorgersi che alcuni di quei futuri cittadini (e poi, oggi, parlamentari), quando giunsero in Canada, potevano essere “in odore” di interferenze (loro o le loro famiglie), data anche la provenienza da Paesi non proprio “amici” del Canada?