Cultura

Verga e Buzzati:
per un doppio anniversario

TORONTO – A distanza di un solo giorno, la settimana scorsa ha visto la celebrazione di due importanti ricorrenze relative alla letteratura italiana del Novecento: il centenario dalla morte di Giovanni Verga (27 gennaio 1922) e il cinquantesimo da quella di Dino Buzzati (28 gennaio 1972). Due geni indiscussi che, se non per il fatto che entrambi sono presenze irrinunciabili su qualsiasi manuale scolastico di letteratura italiana, sembrano quanto di più lontano l’uno dall’altro si possa immaginare.

Da una parte Verga, padre spirituale del Verismo e della grande letteratura siciliana del secolo scorso, che descrive asciuttamente un mondo contadino ormai sul punto di sparire; generazioni di scolari gli rimproverano la lettura del magnifico quanto deprimente Ciclo dei Vinti, i “Malavoglia” con la loro sequela di disgrazie e lupini affondati e l’isolamento sociale e umano del “Mastro-Don Gesualdo” che muore solo con le sue ricchezze.

Dall’altra, Dino Buzzati, cronista mordace e divertito degli anni del boom e maestro della narrazione surreale e spesso inquietante (tanto da dare adito a facili paragoni con Franz Kafka); meno onnipresente del catanese nelle antologie scolastiche, ma parecchi studenti (sottoscritto incluso) hanno patito un soggiorno forzato nel suo “Deserto dei tartari”, ad aspettare col sottotenente Drogo un’epica battaglia che non arriva mai – anche questo romanzo capolavoro indiscusso, ma non per questo meno frustrante, specie per dei ragazzini abituati a letture a base di pathos ed emozioni un tanto al chilo.

Insomma, a parte forse le maledizioni degli scolari, niente sembra accomunare Verga a Buzzati. Per giunta, il secondo ebbe a dichiarare (nel libro-intervista “Un autoritratto”) che “I Malavoglia”, pur riconoscendone “la potenza” (“Quando torna il figlio, ci sono pagine bellissime…”), semplicemente non gli piaceva.

Eppure, questo doppio anniversario ci invita a cercare altre corrispondenze tra questi due giganti, facendocene riscoprire alcuni aspetti meno noti.

Una prima coincidenza è uno “scambio” geografico: Verga, catanese, vive per ben vent’anni a Milano (destinazione piuttosto comune per gli intellettuali siciliani, come ricordavamo la settimana scorsa a proposito di Vincenzo Consolo); Buzzati, cresciuto a Milano, nel 1942 è in Sicilia, a Messina, inviato dalla Marina a compilare un libro sulla guerra navale.

Questi due soggiorni lasciano delle tracce circoscritte ma importanti nelle opere dei rispettivi scrittori.

Nel caso di Verga, è curioso che nella famosa raccolta “Vita nei campi”, in cui sono protagonisti i contadini siciliani (in racconti fondamentali come “Cavalleria rusticana” e “La lupa”), troviamo una sola novella di ambientazione borghese, che si svolge appunto in Lombardia: “Il come, il quando e il perché”, storia di una donna sul punto di tradire il marito.

Molto più interessante l’excursus siciliano di Buzzati: il romanzo per bambini “La famosa invasione degli orsi in Sicilia”, pubblicato per la prima volta a puntate sul Corriere dei Piccoli con illustrazioni dell’autore; non certo la sua opera più significativa, ma che ha avuto comunque un enorme successo e che vale la pena riscoprire.

Un buon punto di partenza è lo splendido adattamento a cartoni animati realizzato da Lorenzo Mattotti un paio di anni fa, che enfatizza proprio la ‘sicilianità’ della storia, avvalendosi tra l’altro al doppiaggio della collaborazione straordinaria di Andrea Camilleri, poco prima che morisse, nei panni di un orso cantastorie.

Ma il tratto d’unione più importante tra i nostri due autori sta nel fantastico: una caratteristica saliente di Buzzati, ma forse meno scontata in Verga, che tutti tendiamo ad associare al realismo più disincantato. Eppure, prima della svolta verista, Verga aveva più di una volta bazzicato nella letteratura di fantasia; e un certo gusto per il fantastico popolare lo si trova anche nelle opere più mature, come nel finale della novella più famosa, “Rosso Malpelo”, in cui il protagonista si addentra nelle profondità della cava pensando alla storia di quell minatore smarrito che si dice girovaghi ancora nel buio, e così scomparendo lui stesso nella leggenda.

Ma l’incursione più mirata nel fantastico si ha in un lavoro giovanile, “Le storie del castello di Trezza”, un lungo racconto in cui storie che si svolgono su diversi piani temporali si intrecciano in una novella gotica complessa quanto inquietante. In un altro racconto, “La coda del diavolo”, compreso nella stessa raccolta, Verga inserisce una premessa in cui chiarisce per chi è pensato il suo fantastico: “per coloro che cercano il pelo nell’uovo e il motivo per cui tutte le cose umane danno una mano alla ragione e l’altra all’assurdo;… per i chimici e gli alchimisti che da 5000 anni passano il loro tempo a cercare il punto preciso dove il sogno finisce e comincia la realtà…”.

Ecco, in quel dare “una mano alla ragione e l’altra all’assurdo”, nella ricerca del “punto preciso dove il sogno finisce e comincia la realtà”, ecco dove possiamo immaginare, dopo cinquant’anni o un secolo, che il fantastico di Verga incontri il surreale di Buzzati.

Nelle foto, da sinistra, Giovanni Verga (De Agostini Picture Library) e Dino Buzzati (twitter.com/Antonio79B)

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