TORONTO – L’attore e regista pugliese Michele Riondino debutta come regista con una storia vicina a casa, la sua casa, Taranto. L’edificio titolare, “Palazzina LAF”, era uno spazio ufficio abbandonato, che l’acciaieria di Taranto [Llva] usava per ospitare i suoi esuli sul posto di lavoro. I dettagli ormai famigerati dell’acquisizione aziendale e dei crimini ambientali di Llva sono stati rivelati in un’indagine e in un caso giudiziario nel 2012. Mentre il padre di Riondino era un dipendente di Llva durante il periodo scandaloso e aveva raccontato molto di ciò che stava accadendo in tempo reale, il regista ha comunque trascorso sette anni a preparare il film. “Sono riuscito a intercettare coloro che erano confinati [a Palazzina LAF], i giudici, gli avvocati, gli psichiatri. Ho anche cercato di intervistare coloro che sono stati condannati come colpevoli e quindi ho studiato i documenti procedurali”.
Le interviste di Riondino per il film rivelano non solo i suoi sentimenti di responsabilità personale nei confronti della gente di Taranto, ma anche di tutti i lavoratori le cui vite e quelle delle loro famiglie potrebbero essere influenzate dall’ingiustizia sul posto di lavoro. Nelle sue mani, questo racconto di Taranto si dipana come una storia intima e universale.
Quando gli ingegneri e gli operai delle fornaci della Llva si trovano di fronte a un’acquisizione aziendale nel 1995, un responsabile del personale (Elio Germano) tenta di ricattare e costringere il personale ad accettare declassamenti. I non conformi vengono inviati alla Palazzina LAF, un edificio fatiscente in loco destinato a scoraggiare psicologicamente i lavoratori.
Nel ruolo principale c’è lo stesso Riondino, che interpreta Caterino La Manna, uno degli addetti alla pulizia delle bobine delle batterie dell’acciaieria, un compito pericoloso che è stato scoperto essere gravemente dannoso per i polmoni. Quando gli viene offerta l’opportunità di agire come spia aziendale in cambio di una promozione e di un’auto aziendale, Caterino accetta.
La storia procede mentre la sua infiltrazione nella Palazzina LAF lo vede registrare e riferire sui tentativi dei lavoratori di preparare basi legali per proteggere i loro diritti. Dalla descrizione sembra tutto molto serio e per quanto riguarda il caso della storia vera, era ed è una questione di vita o di morte. Ma, come sarebbe stato il naturale far fronte agli esuli della Palazzina LAF, Riondino inietta la giusta dose di umorismo sarcastico, avvicinando la storia allo spettatore.
Il regista è stato lodato per aver portato la storia sullo schermo e aver attirato l’attenzione su un caso storico che molti italiani conoscevano molto poco. A parte il libro di Alessandro Leogrande “Fumo sulla città”, da cui è tratta la sceneggiatura, e un documentario del 2021 di Victor Cruz, considerando che le emissioni di diossina dell’acciaieria rappresentavano il 30,6% di tutte le emissioni in Italia nel 2002, lo scandalo della Palazzina LAF è stato poco esposto. Il rapporto del 2002 collegava anche “l’incidenza insolitamente alta del cancro nella zona” alle emissioni elevate.
Per Riondino, al centro della storia c’è un’attenzione a stare insieme sul posto di lavoro. Dopotutto, è la comunità in cui tendiamo a trascorrere più tempo. “È importante parlare di lavoro oggi, perché il dipendente è sotto assedio e sappiamo poco di cosa succede nelle fabbriche… finché i lavoratori non escono e si lamentano di qualcosa”. E a volte, come nel caso di Llva, è troppo tardi.
Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix