TORONTO – Si potrebbe affermare in modo convincente che il film di Michele Placido su Michelangelo Merisi di Caravaggio sia un’opera degna dell’approvazione dell’artista barocco – se fosse vivo oggi per vederlo. Naturalmente, non si saprà mai, e aspettarsi di catturare l’intero contesto della vita di un uomo attraverso un resoconto di due ore, a distanza di quattrocento anni, è allo stesso tempo assurdo e impossibile.
Con “L’ombra di Caravaggio”, tuttavia, Placido dipinge una rappresentazione avvincente dell’uomo prendendo in prestito uno dei principi fondamentali di Caravaggio: trovare il reale. Caravaggio portò nei suoi dipinti i miserabili, i poveri o ciò che le autorità disapprovavano considerandoli “Esseri abietti”, impiegandoli come modello per le sue rappresentazioni bibliche.
È possibile che Caravaggio credesse che se fosse riuscito a trasformare una cortigiana (Lena Antonietti) in una Madonna, avrebbe potuto contribuire a risvegliare il divino in tutti noi. Questa era la collisione tra la luce e l’oscurità, il chiaroscuro, che definiva non solo il suo lavoro e i suoi capolavori, ma la sua umanità.
L’intelligente presunzione della sceneggiatura, immaginata dal co-sceneggiatore Sandro Petraglia, è il suo personaggio immaginario chiamato “Ombra”, un prete assunto dal Sant’Uffizio per indagare sui presunti crimini di Caravaggio. Dando effettivamente il titolo al film, L’Ombra, tra le altre cose, funge da parallelo tra le imprese “ignobili” di Caravaggio e le operazioni segrete della Chiesa.
La storia del film inizia nel 1609 quando Papa Paolo V convoca il suo “Uomo Ombra” a Castel Sant’Angelo e gli ordina di “indagare sui dipinti che si fanno beffe delle sacre rappresentazioni nelle nostre chiese”. L’impulso alle indagini: i Nobili Amici di Caravaggio e i benefattori della chiesa chiedono la grazia papale per un omicidio commesso da Caravaggio per legittima difesa. Un determinato Papa Paolo V, come immaginato nel film, ordina un’indagine approfondita sulla vita personale del pittore recalcitrante.
Tra gli storici Michelangelo, Merisi e Buonarotti, si sa sicuramente di più di quest’ultimo, poiché le trasgressioni di Merisi hanno inequivocabilmente giocato un ruolo nell’occultamento della sua eredità artistica, che cresce ad ogni nuova esplorazione della sua vita e delle sue opere.
L’impegno di Caravaggio nel rappresentare le cose così come sono in natura, oscure e spesso spaventose, è stato considerato il precursore dell’arte moderna. Placido, durante una recente Masterclass ha addirittura suggerito che se Caravaggio fosse vivo oggi forse non sarebbe un pittore, ma un “fotografo di guerra in prima linea, che cattura la battaglia”.
Il chiaroscuro di Caravaggio ritraeva i suoi soggetti sotto una nuova luce sia in senso letterale che sovversivo attraverso i suoi messaggi di sfida. È stato un brillante esempio del fatto che spesso ci sono principi profondi condivisi nella diffusione attraverso le opere d’arte e che l’artista esercita un magnifico potere di chiarire e rapire. “Tutti restavano senza parole e muti, col fiato sospeso davanti all’opera del Merisi”, spiega nel film un mendicante della chiesa al prete che lo interroga.
Posso attestare questo sentimento avendo visto dieci originali di Caravaggio quando la National Gallery di Ottawa ha presentato il suo lavoro nel 2011. Ciò che era evidente anche alla mia mente allora non indirizzata e non istruita era l’immenso genio del talento di Caravaggio. L’effetto immediato delle sue opere d’arte sembrava come fosse un segreto svelato. Forse il film di Placido può far nascere una nuova generazione di appassionati d’arte e ricercatori della verità, o addirittura riaccendere la curiosità di coloro che un tempo perseguivano vigorosamente la saggezza dell’epoca, sia attraverso la religione che l’arte.
Nominato per cinque David Di Donatello nel 2023, il film merita più che una visione, anche per l’opportunità di entrare per due ore nel mondo oscuro e seducente di Caravaggio. E quando lo schermo diventa nero, come accadde una volta per questo glorioso Pittore, anche tu potresti prendere in considerazione ciò che Caravaggio credeva esistessero: “mondi infiniti, cieli infiniti, universi infiniti e la divinità infinita che vive in ogni cosa”.
Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix