TORONTO – Su queste pagine parlavamo la settimana scorsa della serie animata “Strappare lungo i bordi”, scritta e diretta (e doppiata) dal fumettista romano Zerocalcare (Michele Rech), e del suo straordinario successo: un cartone animato che non solo rimane il titolo più visto in Italia nel catalogo Netflix, ma che sta riuscendo nella a raccogliere il plauso della critica e al tempo stesso imporsi come vero e proprio fenomeno di massa (impresa difficile, ma alla quale Zerocalcare ci ha da tempo abituati).
Da due settimane a questa parte la serie è un argomento di conservazione costante, e il personaggio di Secco che di fronte a qualsiasi problema controbatte imperturbabile “Annamo a pijà un gelato?” è diventato immediatamente un tormentone (anzi, in termini più moderni: un meme).
All’estero Netflix non ha pubblicizzato in nessun modo l’uscita della serie, ma il buon vecchio passaparola ha generato comunque un certo seguito: digitando su Youtube “Tear along the dotted line”, “Cortar per la linea de puntos” eccetera, si trovano una miriade di recensioni amatoriali, tutte entusiastiche. La mia preferita è di uno scatenato youtuber spagnolo che la descrive come “una joyita oculta”, un gioiellino nascosto: “Es una obra de arte, es muy muy Bojack!”, e il paragone è nientedimeno che a Bojack Horseman, la pluripremiata serie animata statunitense indicata da più parti come la migliore degli ultimi vent’anni.
In Italia, invece, oltre agli applausi arrivano anche le polemiche (e fin qui niente di nuovo). Il finale della serie – struggente – si ambienta a Biella, e il sindaco si offende perché Zerocalcare la rappresenta come una malinconica città di provincia; viene da pensare piuttosto che i biellesi dovrebbero ringraziare la serie per avere dato visibilità a una cittadina solitamente fuori dai radar dei media di massa (l’unica obiezione con qualche fondamento, avanzata dallo scrittore Paolo Roversi, è che i protagonisti arrivano col treno Frecciarossa, che nella realtà a Biella non ferma).
Meno localizzata è invece la critica alla serie sul fronte della lingua: Zerocalcare si esprime in romanesco, tra l’altro con una parlata molto veloce e spesso anche biasciata. Gli Italiani, popolo di santi, poeti e logopedisti, si stracciano le vesti: non si capisce niente, perché non si sforza di parlare in italiano corretto?
Ma (oltre all’ovvia obiezione che sono disponibili i sottotitoli) come ebbe a dire Massimo Troisi a proposito della sua scelta di esprimersi in napoletano, potrebbero farlo loro lo sforzo di capire.
Intanto in difesa del romanesco di Zerocalcare è intervenuto Luca Serianni, uno dei linguisti più blasonati d’Italia.
Un’altra polemica, se non altro per motivi più seri, viene dalla Turchia. Già, perché nella stanza del protagonista campeggia in bella vista una stella rossa in campo giallo: per lo spettatore italiano il riferimento probabilmente risulta oscuro, ma quello è il simbolo delle brigate PKK, i guerriglieri curdi che il regime di Erdogan considera a tutti gli effetti terroristi. Probabile che nella stanza di Zerocalcare quello stendardo ci sia davvero; d’altronde del suo appoggio alla causa del Kurdistan l’autore non ha mai fatto mistero, anzi: già diversi anni fa aveva pubblicato diversi reportage a fumetti sulla eroica resistenza curda all’Isis (poi confluiti nel volume “Kobane Calling”, peraltro ad oggi l’opera per cui è più conosciuto all’estero).
Di fronte agli attacchi dei giornali turchi Zerocalcare ha commentato con la consueta ironia: “Niente, sta cosa del romano li ha fatti sbroccà”.