TORONTO – Da tempo, i premier provinciali “piangono” per gli “insufficienti” (a loro dire) contributi federali alla loro spesa sanitaria, ma la realtà è un’altra, secondo un’analisi effettuata – su vent’anni di dati dei finanziamenti sanitari – dalla Canadian Press insieme all’Humber College StoryLab: i trasferimenti federali hanno sempre seguito i bilanci sanitari provinciali, aumentando anno dopo anno.
La ricerca è basata sui dati dei bilanci sanitari provinciali e dei trasferimenti sanitari federali dal 2004 al 2023 sin dal lancio dell’accordo sanitario federale-provinciale del 2004, stipulato sotto l’ex primo ministro liberale Paul Martin. Ebbene: i risultati sono in netto contrasto con la retorica che ha caratterizzato i negoziati sanitari federali e provinciali negli ultimi anni.
Infatti, invece di diminuire lentamente negli ultimi due decenni, come sostenuto anche recentemente dai premier, in realtà i trasferimenti federali sono cresciuti ad un ritmo leggermente più veloce rispetto alla spesa sanitaria provinciale a partire dall’accordo-Martin del 2004. Nel 2005-2006, per esempio, i trasferimenti sanitari federali sono cresciuti del 39% in un anno, mentre la spesa sanitaria provinciale è cresciuta del 6%. Ciò significa che la quota federale della spesa sanitaria totale è balzata al 20,7% dal 17,5%. In tempi più recenti, la spesa sanitaria federale è stata molto più elevata durante la pandemia di Covid-19 a causa di trasferimenti specifici: tali fondi aggiuntivi hanno smesso di fluire nel 2022-2023, periodo in cui la quota federale della spesa provinciale totale era cresciuta solo leggermente al 21,2%.
Nel 2023, i trasferimenti sanitari federali sono ammontati a 47,1 miliardi di dollari, con un aumento del 212% rispetto al 2005, quando i trasferimenti furono di 15,1 miliardi di dollari. La spesa totale di tutte e dieci le Province è invece cresciuta in quel periodo da 86,2 miliardi di dollari a 221,9 miliardi di dollari, con un aumento del 158%, una percentuale decisamente inferiore a quella dell’aumento dei contributi federali.
“Capisco la posizione delle Province – enormi richieste nei loro confronti – ma ci siamo assicurati di fornire i dollari necessari e richiesti per aiutarli nei loro sistemi sanitari”, ha detto il ministro federale della Sanità, Mark Holland, in una recente intervista. “Ora ciò che dobbiamo fare è iniziare a trasformare il modo in cui funziona il nostro sistema. Dobbiamo passare da un sistema basato sulla crisi in cui aspettiamo che le persone siano veramente malate e poi affrontiamo la situazione, ad essere controcorrente ed evitare la malattia ed essere impegnati nella prevenzione”.
I premier, però, restano della loro idea: i finanziamenti non bastano e non possono essere “a termine”. Secondo i vari governi provinciali, infatti, è necessario che “il governo federale fornisca finanziamenti adeguati e sostenibili per l’assistenza sanitaria” e questo significa anche togliere la “scadenza” dagli accordi, poiché con quella è impossibile pianificare una stabilità a lungo termine. Nel febbraio 2023, circa dieci giorni dopo che il primo ministro Justin Trudeau aveva presentato l’ultima offerta di finanziamenti sanitari dopo un lungo braccio di ferro con le Province, i premier hanno rilasciato una dichiarazione congiunta per accettarla con riluttanza: “Sebbene questo primo passo segni uno sviluppo positivo, l’approccio federale chiaramente non affronterà le esigenze di finanziamento strutturale dell’assistenza sanitaria, né le sfide di sostenibilità a lungo termine che affrontiamo nei nostri sistemi sanitari in tutto il Paese”. La situazione, insomma, non appare chiarissima. L’unica cosa chiara è che la spesa sanitaria è in crescita. Pro capite, i trasferimenti sanitari del Canada sono cresciuti sei volte più velocemente della crescita della popolazione, ammontando a 1.115 dollari pro capite nel 2023, rispetto ai 427 dollari pro capite del 2005. Ed è, naturalmente, destinata ad aumentare.
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