Italia

La scomparsa di Franco Marini,
il ‘lupo marsicano’

ROMA – Franco Marini era stato soprannominato, già durante la sua lunga militanza nel sindacato, come il ‘lupo marsicano’, per i suoi natali abruzzesi e per la sua incrollabile forza e tenacia tipica di quelle terre.

All’inizio di quest’anno era stato ricoverato all’ospedale San Camillo de Lellis di Rieti poiché positivo al Covid-19, ma era stato poi dimesso il 27 gennaio “con completa guarigione del quadro respiratorio e discrete condizioni generali”, secondo la nota diffusa in quei giorni dal nosocomio.

Ieri, invece – l’ex segretario della Cisl, ministro e presidente del Senato – si è spento alla clinica Villa Mafalda di Roma, all’età di 87 anni, proprio per le nuove sopraggiunte complicazioni polmonari da coronavirus.

Franco Marini era nato a San Pio delle Camere, in provincia di L’Aquila, il 9 aprile 1933, in una famiglia abruzzese di umili origini che si trasferì poi a Rieti, dove il padre lavorava come operaio tessile. La madre, una sarta, morì quando Franco aveva appena 11 anni, primo di 4 figli ma con la famiglia che si allargò a 7 quando il padre si risposò.

I soldi sono pochi e la possibilità di studiare pure ma “un giorno la professoressa di lettere delle medie si presentò a casa e disse: ‘No, questo ragazzo deve andare al liceo’. Mio padre ebbe l’intelligenza di darle retta”, racconterà, poi, Marini che finisce col laurearsi in giurisprudenza.

Iscritto alla Democrazia Cristina sin dal 1950, lavora fin da subito dentro il sindacato della Cisl. L’anno successivo sposa il medico Luisa D’Orazi, con cui era fidanzato da 4 anni, e da cui avrà un figlio. “L’avevo già notata quando lei era al ginnasio e io al liceo, ma era una ragazzina”.

Marini, negli anni ’70, diventa vicesegretario del sindacato fino a prenderne la guida nel 1985. In questi anni la Cisl assume un ruolo sempre più importante nel panorama politico-sindacale, rappresentando soprattutto la categoria del pubblico impiego. Le linee guida seguite sono quelle espresse dalla corrente della Dc più vicina al sindacalismo cattolico, chiamata Forze Nuove. Una corrente fondata da Carlo Donat-Cattin che, nel ’91, la affida proprio a Marini, da lui soprannominato come “l’uomo che uccide col silenziatore” per il suo essere schivo ma spietato.

In quello stesso anno il sindacalista abruzzese diventa ministro del lavoro e della previdenza sociale del VII Governo Andreotti, mentre nel ’92 viene candidato per la prima volta per le Politiche e alla Camera ottiene più di 100mila preferenze. Mino Martinazzoli, all’epoca segretario della Dc, lo sceglie quale responsabile organizzativo del partito che, nel frattempo, viene travolto dall’inchiesta Tangentopoli.

Nel 1997, invece, Marini arriva alla guida del Ppi, partito sorto dalle ceneri della Dc e collocato nel centrosinistra. Nel 1998 Marini è ritenuto responsabile della caduta del primo governo Prodi. È noto che i rapporti tra l’ex segretario della Cisl e il ‘Professore’ siano sempre stati tesi e che Massimo D’Alema avesse promesso a Marini il Quirinale pur di far cadere l’esecutivo. Poi, però, Carlo Azeglio Ciampi viene preferito a Marini il quale, nel ’99, abbandona la segreteria del Ppi e viene eletto come eurodeputato.

Il Ppi sparisce con la nascita della Margherita che darà vita, insieme ai Ds, al Partito Democratico tra le cui file Marini si candiderà nel 2006 per un posto a Palazzo Madama. Una volta eletto, l’ex segretario della Cisl viene scelto come presidente del Senato, al terzo scrutinio, dopo una votazione al cardiopalma. Con 165 voti Marini batte il senatore a vita Giulio Andreotti, che poteva contare sull’appoggio del centrodestra.

Nel 2013 Marini si trova di nuovo in corsa per il ruolo di presidente della Repubblica, ma a lui venne poi preferito Sergio Mattarella. Marini ha visitato il Canada per due volte, nel 2007 e nel 2011.

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