La memoria

Perché non dobbiamo dimenticare: quando la mente sta nel cuore 

VENEZIA – 22 anni e non ’saperli’, cioè non sapere chi sei, dove vivi, quali obiettivi hai e puoi raggiungere nella vita. O forse, al contrario, credere di saperlo fin troppo bene.

Sono tante le domande che sfrecciano tumultuose nella mia mente mentre leggo dell’arresto di un giovane di Savona: nazifascista, antisemita, omofobo, xenofobo, razzista, nemico delle donne (per usare un eufemismo), incitatore alla violenza, promotore di atti estremi come sparatorie nelle scuole ed atti terroristici nei confronti dei più svariati obiettivi. In nome di cosa? Forse di un’ideologia. O forse – ed è la cosa più grave – non lo sa nemmeno lui.

Una vicenda molto simile aveva riempito le pagine dei giornali nel febbraio 2020 (quella volta nel bergamasco): un giovane anch’egli di soli 22 anni arrestato per la diffusione di volantini neonazisti, in possesso di un coltello di una ventina di centimetri, istigatore all’odio razziale e antisemita. Vite giovanissime, fragilissime in questi anni in cui si stenta a riconoscere una crisi sociale sconcertante a livello globale.

Quest’anno la vicinanza tra la vicenda del giovane savonese e la Giornata della Memoria ha un sapore ancora nuovo, sempre e comunque intenso. La domanda resta sempre la stessa: perché?

La memoria è la precipua volontà di ritenere alcune informazioni relative a determinati eventi, siano essi accadimenti storici o personali (e i due si intrecciano tra loro indissolubilmente).

Mnemosyne è la diva Musa preposta al ricordo, a porre cioè nel cuore segno indelebile di ciò che non vogliamo e dobbiamo dimenticare. Dimenticare, dal canto suo, significa togliere dalla mente, un organo destinato alla ragione e alla razionalità.

L’ineffabile equilibrio tra mente e cuore è un’alchimia che dobbiamo tornare a riscoprire. Perché non avere memoria di ciò che è accaduto in passato significa non dare una risposta agli eventi di Savona, Bergamo, Poway (California, aprile 2019), Christchurch (New Zealand, marzo 2019), Toronto (2018) e molti altri ancora. Eventi del nostro presente che gettano una luce inquietante sul nostro futuro e su quello dei nostri figli, eventi che urlano al mondo, inascoltati, la drammaticità dell’esistenza delle giovani generazioni e di chi non è abituato a leggere, dialogare, confrontarsi, ricordare, ad usare la memoria – vox clamantis in deserto, scriveva qualcuno.

Dalla dimenticanza si passa (fin troppo) facilmente alla negazione e al negazionismo. Ed il negazionismo è forse la forma più disumana di cecità della ragione e dell’anima.

Negare gli eventi di Bergen-Belsen, Auschwitz, Belzec, Sobibor, Treblinka vuol dire chiudere una seconda volta gli occhi a chi è morto di fame, gasato, picchiato, stuprato, scarnificato vivo, bruciato. Nella e dalla banalità del male. Negare significa uccidere una seconda volta, vuol dire sopprimere il dono della memoria, significa assassinare Mnemosyne.

Se dimenticare è il contrario di ricordare allora non parlare delle atrocità nazifasciste (e non solo) significa non porre nel cuore il contrappeso che dà valore al cuore stesso.

Insegnanti, genitori, famigliari, amici, liberi cittadini ed esseri umani tutti, siamo chiamati anche quest’anno a ripensare alla geografia dell’anima e a individuare il luogo dove sta un organo che non batte solo per far funzionare una macchina chiamata corpo: il nostro cuore.

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