La parola “ageismo” rappresenta il comune tentativo di trasformare un’espressione gergale inglese in un’equivalente italiana con il risultato – comune anche questo – di creare un termine incomprensibile in entrambe le lingue. Il neologismo originale, risalente al 1969, si deve a un gerontologo americano, Robert Neil Butler, a cui serviva un’etichetta sintetica per descrivere la discriminazione verso i più anziani.
L’ageismo è illegale in Italia: sia per la Costituzione – che all’articolo 3 (il principio di uguaglianza) vieta qualsiasi “discriminazione basata sulle condizioni personali” – sia per la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che mette espressamente al bando ogni forma di “discriminazione basata sull’età”.
Secondo una ricerca americana, quasi due terzi dei lavoratori d’età superiore ai 45 anni ritengono di avere visto o subito questo tipo di discriminazione sul lavoro. Ci sono però rischi nell’estendere protezioni speciali a limitate categorie di cittadini – specialmente perché le leggi che ne risultano a volte ottengono effetti non previsti. Ora emergono casi – con, inevitabilmente, le relative cause di lavoro – in cui sono i giovani a usare questi provvedimenti per proteggersi da chi è più vecchio di loro.
La BBC ha recentemente descritto l’esperienza di “Leia”, una neo-laureata assunta nell’area business development di un’azienda e inserita in un team di lavoro tra persone più grandi di lei: “Gli altri”, ha spiegato, “avevano praticamente il doppio della mia età”. Secondo Leia, i colleghi regolarmente ignoravano i suoi suggerimenti per via della sua inesperienza. “I superiori mi hanno anche rinfacciato la giovane età, dicendo: ‘Cosa può saperne una 23enne di queste cose?’”
Alla fine Leia ha deciso di lasciare l’azienda e crearsi una posizione con “maggiori spazi di crescita”, fondando una sua start-up di marketing. Spiega: “Credo diamo troppo peso all’esperienza. Non c’è necessariamente una correlazione tra anni di pratica e abilità. Steve Jobs ha fondato la Apple quando aveva 21 anni”.
L’emittente inglese ha trattato la sua storia con molta simpatia, vedendoci un chiaro caso di discriminazione. Fa infatti una certa tenerezza. Ma, l’azienda e i colleghi avrebbero dovuto dare retta a Leia anche quando non conosceva ancora il suo lavoro e non riteneva di doverlo conoscere? È paradossale che provvedimenti sviluppati in parte per proteggere l’esperienza acquisita con gli anni ora potrebbero servire per negarne il valore.
Nell’immagine, Steve Jobs e il suo socio di allora, Steve Wozniak, nel 1978, due anni dopo la fondazione della Apple Computer
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