Canada

Fronte comune tra il primo ministro e i premier

TORONTO – Un fronte comune per disinnescare la bomba dei dazi doganali minacciati da Donald Trump. È questa la volontà che è emersa ieri durante lo svolgimento del summit d’emergenza tra il primo ministro Justin Trudeau i premier per affrontare la sfida lanciata dal presidente eletto americano, che lunedì ha annunciato l’intenzione di attivare dei dazi doganali pari al 25 per cento per tutti i prodotti che entrano nel mercato statunitense dal Canada e dal Messico.

E se quest’ultimo ha scelto la via del muro contro muro, con la presidente Claudia Sheinbaum Pardo che ha annunciato la futura applicazione di dazi per le merci americane, il Canada invece ha intenzione di adottare una strategia ibrida: da un lato l’attivazione di tutti i canali politici, diplomatici ed economici per smussare gli angoli e arrivare a un accordo con il tycoon newyorchese, dall’altro il pressing per far capire che i dazi doganali al 25 per cento sarebbero dannosi in primo luogo per gli importatori e i consumatori americani.

Certo, le tariffe doganali di quella entità provocherebbero un effetto domino anche nella nostra economia, con conseguenze gravi un po’ in tutti i comparti produttivi, ma il primo pesante effetto ricadrebbe sulle spalle dei consumatori americani, che in automatico pagherebbero tutti i prodotti canadesi il 25 per cento in più.

Un esempio lampante è quello relativo al petrolio. Il Canada infatti rappresenta il primo fornitore di greggio agli States – pari al 56 per cento del totale delle importazioni, con i dati del 2023 riferiti a petrolio e gas naturale che arrivano a 103 miliardi annui. Con l’attivazione dei dazi doganali minacciati da Trump, il prezzo di petrolio e gas naturale subirebbero un aumento improvviso del 25 per cento, portando grande instabilità soprattutto sul mercato americano prima che in quello canadese.

L’impressione – condivisa anche all’interno del ristretto gruppo di fedelissimi di Trudeau – è che Trump voglia in sostanza utilizzare una strategia simile a quella usata durante il suo primo mandato sul fronte del libero commercio. Il presidente americano, all’epoca, annunciò prima la rottura unilaterale del trattato Nafta, salvo poi aprire alla trattativa per un nuovo accordo di libero scambio, che sarebbe poi arrivato nel 2018 con la firma dell’Usmca (Canada-United States-Mexico-Agreement).

Sarà così anche questa volta? Difficile a dirsi, visto anche che le ragioni elencate dal presidente eletto per queste misure punitive per Canada e Messico (insieme alla Cina, che si è vista appioppare dazi doganali pari al 10 per cento) riguardano l’immigrazione clandestina e le sostanze stupefacenti non intercettate alle frontiere. “Il 20 gennaio – ha scritto Trump lunedè sera – fra i miei primi ordini esecutivi, firmerò tutti i documenti necessari per far pagare a Messico e Canada una tariffa del 25% su tutti i prodotti che entrano negli Stati Uniti, e sui loro ridicoli confini aperti”, ha scritto il presidente eletto degli Stati Uniti, aggiungendo che rimarranno in vigore “fino a quando la droga, in particolare il Fentanyl, e tutti gli stranieri illegali non fermeranno questa invasione del nostro Paese”. Secondo Trump, “sia il Messico che il Canada hanno il diritto e il potere assoluto di risolvere facilmente questo problema che si trascina da tempo…chiediamo che usino questo potere e, finché non lo faranno, è ora che paghino un prezzo molto alto”.

Quindi il presidente eletto si è rivolto alla Cina, minacciando ulteriori dazi del 10% fino a quando la droga non smetterà di “riversarsi nel nostro Paese, soprattutto attraverso il Messico”. “Ho avuto molti colloqui con la Cina sulle massicce quantità di droga, in particolare di Fentanyl, che vengono mandate negli Stati Uniti, ma senza alcun risultato”, ha denunciato Trump. Nel lungo post, il presidente eletto sostiene di aver ricevuto rassicurazioni dalle autorità di Pechino che “avrebbero applicato la loro massima pena, quella di morte, per qualsiasi trafficante di droga sorpreso a fare questo, ma, purtroppo, non hanno mai dato seguito alla loro richiesta, e la droga si sta riversando nel nostro Paese, soprattutto attraverso il Messico, a livelli mai visti prima”.

More Articles by the Same Author:

Translate »