Il Commento

Fonti di azioni militari
in Medio Oriente: Potere e Bibi

TORONTO – Qualunque cosa si possa azzardare a dire su Israele… sarebbe sbagliato, nel momento in cui viene sparato un “colpo”. Ci sono stati molti “colpi” sparati nell’ultima settimana. Al 19 maggio, infatti, il bilancio complessivo delle vittime a Gaza era di 197 morti, tra cui 58 bambini e 34 donne, con 1.235 feriti e circa 70.000 sfollati.

Una parola di cautela, i numeri precedenti variano a seconda della loro fonte (Hamas/Palestinese o le Forze di Difesa Israeliane), e agenzie di segnalazione come Al-Jazeera, Bbc o Associated Press.

Tuttavia, numeri diversi – più “impersonali” – suggeriscono che le domande su chi fa cosa e perché potrebbero non produrre una discussione razionale riguardo alle fonti di indirizzo dei problemi o addirittura alle soluzioni a lungo termine. Ad esempio, l’apparente inutilità dell’obiezione palestinese alla “presenza israelo-ebraica” sembra essere enfatizzata dal peso militare ed economico ampiamente spropositato delle due entità.

Il Pil dell’Autorità Palestinese nel 2020 – secondo la Banca Mondiale – era di circa 16 miliardi di dollari Usa, per una popolazione di circa 5,2 milioni di persone. Israele, la cui popolazione nel 2020 era di circa 9,2 milioni, ha registrato un PIL di circa $402 miliardi di dollari Usa secondo Forbes/Statista; più di 25 volte maggiore a quello del loro vicino.

La disparità non si ferma qui. Il bilancio militare annuale di Israele (in percentuale del PIL – 5,3 per cento – e in dollari assoluti – 22 miliardi di dollari Usa) fa impallidire quello di tutti gli altri Paesi e giurisdizioni della regione, ad eccezione dell’Arabia Saudita. L’esercito moderno di Israele, nell’addestramento e nelle attrezzature, è il più sofisticato del Grande Medio Oriente, e ha l’opzione nucleare. Sembra improbabile che i palestinesi possano presentare una minaccia economica o militare per l’esistenza di Israele.

Tuttavia, essi sono in primo piano nel campo della politica israeliana, più precisamente, nelle esigenze politiche di una delle personalità più puramente politiche emerse nell’area nell’ultimo mezzo secolo – Benjamin Netanyahu, “[re] Bibi” ai suoi servili ammiratori qui in Canada e nella Diaspora altrove.

Il primo ministro Netanyahu “è sulla scena” da prima che lo incontrassi quando era ministro degli Esteri (1989), nel suo bunker – solo per illustrare, ai politici stranieri come me, che l’élite politica del Paese era costantemente minacciata dai terroristi. Bibi suona la struttura politica della democrazia israeliana nel modo in cui un violinista esperto accarezza le corde di uno Stradivari [violino].

Se Niccolò Machiavelli – 500 anni fa – non avesse già trovato l’epitome di politico senza scrupoli e spietato in Cesare Borgia per il suo studio seminale in scienze politiche, Bibi sarebbe stato sicuramente la sua prima scelta.

Lo ha praticamente detto l’editorialista Adam Raz – sul quotidiano israeliano Haaretz, il 16 maggio – nella sua valutazione delle cause dell’ultima “esplosione” a Gaza: Bibi ha bisogno che Hamas sia un fastidio truculento. Non può formare un governo senza la loro “agitazione”.

Se non riuscirà a formare un governo, l’argomentazione è che perderà sicuramente i privilegi di immunità e molto probabilmente soccomberà alla sentenza negativa dei tribunali per accuse nei suoi confronti di corruzione, malaffare etc. (mentre era in carica) che si sono fatte strada attraverso l’ordinamento giuridico. Il processo democratico non ha prodotto un chiaro vincitore in quattro elezioni tenutesi negli ultimi 20 mesi. Israele si dirige verso la quinta in due anni.

Bibi ha bisogno di una “questione unificante” per proiettarsi come “l’unico salvatore della Patria” che trattiene lo tsunami dei nemici di Israele.

Il presidente Biden e il primo ministro Trudeau alimentano quell’immagine quando “chiedono un cessate il fuoco”. Le loro “voci di pace” possono essere ben intenzionate, ma Bibi possiede le armi e Hamas lo sfida ad usarle.

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