Cultura

Dopo il “tempo sospeso”:
in conversazione
con Marco Guidarini

VENEZIA – Di presentazioni non ne ha di certo bisogno. La poliedrica personalità che lo rende uomo di cultura ad ampio respiro è uno dei molti pregi di Marco Guidarini, musicista, direttore d’orchestra, scrittore, attento osservatore delle realtà che circondano lui e gli altri. Ho raggiunto telefonicamente il Maestro Guidarini, già ospite di questa rubrica culturale in passato, nella felicissima occasione della sua nomina a Direttore musicale del Teatro d’Opera di Poznan, in Polonia.

Maestro, cominciamo da qui o meglio “da lì”, da quel non troppo lontano inverno 2020: cosa è successo in questi ultimi due anni per Lei e per il mondo della musica e dell’arte in genere?
«La chiave di lettura per questa pandemia – un momento di stallo e poi di ripresa – è duplice: una personale ed una più a carattere generale. Ho passato tutta la mia vita adulta sempre lavorando e viaggiando, spostandomi da un paese all’altro, da un teatro all’altro. Per chi fa una vita artistica di un certo livello diventa un vero e proprio modus vivendi. Questo tempo sospeso mi ha dato, alla mia età, l’occasione inaspettata di trascorrere a casa un anno facendo moltissime cose. Al di là del fatto che si è trasformata, ad un certo punto, in una preoccupazione per il futuro non solo mio ma artistico in generale, è stato un tempo per studiare moltissimo, per riflettere, ho scritto molto».

E dal punto di vista globale?
«In termini più universali mi pare evidente che sia emersa, amplificata, la grossissima spaccatura tra chi ha vissuto la professione artistica in un contesto stabile – anche con una minima garanzia di stipendio, qualunque cosa accadesse – e chi invece si è ritrovato davanti ad un confronto drammatico con la realtà dei fatti. Per molti dei liberi professionisti della musica e dello spettacolo sarà difficile tornare a riprendere da dove avevano lasciato subito prima dell’emergenza sanitaria».

Nota delle differenze anche all’interno della stessa Europa?
«Certamente: la Francia ha delle modalità di aiuto a livello sociale anche per i professionisti in campo artistico. In qualche modo lo stato sostiene gli artisti che, in un momento di difficoltà, non possono lavorare. L’Italia non ce l’ha. La mia generazione deve fare in modo che il paese si doti di questo strumento legislativo per i giovani. Deve diventare il nostro lascito: che un libero professionista nella cultura e in ambito creativo possa avere una forma di ammortizzatore sociale. Questa sperequazione è emersa a volte anche drammaticamente e penso fermamente che si debba mettere mano a questa cosa, a livello di parlamento europeo, e quanto prima».

Qual è il rischio?
«Il rischio è che musicisti ed artisti siano (e sono) sempre considerati professionisti dell’illusorio. Ma non lo sono affatto. È anche vero che in risposta a questo tempo sospeso sono nate molte iniziative artistiche che pensano al futuro dell’opera in maniera nuova, con tematiche dall’ecologia alle più contemporanee riflessioni sociali ed antropologiche. È un modo nuovo di riscrivere la realtà».

Parlando di scrittura, dopo “Guida in viaggio verso Praga” ci aveva promesso qualcosa d’altro. Di cosa si tratta e quando potremo leggere il Suo nuovo libro?
«Si tratta di “Operasofia” ed esce questo Natale. È scritto e pensato per i cosiddetti non addetti ai lavori. Era da un po’ che riflettevo sul fatto di scrivere un libro di alta divulgazione che permettesse un approccio all’opera anche ai non musicisti ed è il motivo per cui ho evitato deliberatamente di scrivere con esempi musicali».

In che modo?
«Ho impostato il tutto sul percorso evolutivo dell’opera – dalle origini al XXI secolo – intrecciandolo con, ad esempio, la storia e le altre arti. Volevo un libro che fosse trasversale, a tratti ecumenico. Troverete 17 capitoli che partono da prima di Monteverdi fino a Bob Wilson: sono capitoli brevi, leggeri, di – spero – piacevole ed agile fruizione. In ogni capitolo c’è riferimento alla cultura contemporanea, spesso guardando al mondo del cinema. Nella seconda parte ci sono 22 pillole di filmografia – che sono i film citati nel corso del volume – e in ognuno di questi film c’è una scheda che introduce il rapporto tra quella pellicola e l’opera. Una terza ed ultima parte è rappresentata da un glossario. Volevo un libro maneggevole, che si potesse leggere anche alla rovescia».

E per i non addetti ai lavori, quali sono le mansioni di un direttore musicale?
«In primis il mio lavoro riguarda il rapporto con l’orchestra. Qui si intrecciano tre stagioni –opera, balletto e concertistica – e bisogna capire chi fa cosa e quando. Ci sono poi le attività pedagogiche, i rapporti con le scuole e i pomeriggi per le famiglie senza dimenticare i concerti di musica da camera oltre ai tre cartelloni principali. Il direttore musicale si occupa di tutto questo. Nei teatri di repertorio c’è il direttore musicale che gestisce la parte artistica dalla A alla Z, sempre in concertato con la sovrintendenza. Nello specifico per le opere, ci sono i cast vocali da scegliere: i nostri solisti sono circa venti ed assicurano l’80-90% delle produzioni. Qualche interprete esterno per una Lady Macbeth o una Norma dovrà venire. Ovviamente il teatro di repertorio permette una rotazione dei titoli molto più ampia per cui è normale che in un teatro come quello di Poznan si facciano 3-4 opere al mese per una ventina di titoli all’anno, molto più che in Italia».

Quali sono le sfide che La attendono?
«Molte e tutte avvincenti. Si tratta di un grande teatro, in tutti i sensi: 86 musicisti stabili, 58 coristi, un corpo ballo di 24, i solisti stabili sono circa una ventina. Possiamo fare praticamente tutto. Con la post-pandemia stiamo lavorando per diversificare l’offerta musicale e culturale che è, secondo me, la chiave per il futuro».

In che senso?
«Una ibridazione dei generi di alto livello concede un avvicinarsi alle generazioni più giovani che il repertorio standard non offre. Parlo dei grandi numeri ovviamente. Penso alle nuove e nuovissime generazioni, ad un ragazzo e una ragazza di vent’anni: come li facciamo avvicinare ad un mondo così affascinante ma anche così complesso – un mondo che non è quello dell’immediatezza televisiva, del rapporto con un piccolo schermo portatile? Non possiamo continuare a pensare all’opera come ad un museo. Le forme ibride, anche in luoghi meno canonici – per così dire – raggiungono e parlano ai giovani, giovani che sono il pubblico del domani».

Maestro, il polacco lo parla?
«Non ancora ma datemi tempo due anni e vi stupirò (ride)».

Ne siamo certi, Maestro. In bocca al lupo!

Nella foto, il Maestro Marco Guidarini

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