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Un libro imbullonato
nel pexiglass “per riappropriarsi
della corporeità”

TORONTO – RAGUSA – Andrea G.G. Parasiliti è scrittore, saggista, artista e giornalista; siciliano, di Chiaramonte Gulfi (Ragusa), nella sua attività di ricercatore vanta anche un anno passato come Post-Doc Fellow in Italian Studies all’Università di Toronto. Nella sua ultima comparsata in questa pagina, lo scorso anno, ci parlava di un libro di poesie plastificate per galleggiare in un mondo sommerso (Io siamo già in troppi, 2020). Torniamo ora a intervistarlo a proposito di un nuovo progetto, se possibile ancor più visionario: Gastroteca. Sottovuoto erotico alimentare + Sonnolenza. Impressioni dal dormiveglia (Blake&Pound, Milan 2021).

Per cominciare, ti chiederei di descrivere fisicamente questo strano oggetto, perché già su questo c’è parecchio da dire…
«L’oggetto si presenta in forma di libro dove la copertina e quella che sarebbe stata la quarta in un libro tradizionale, e che è invece una seconda copertina, sono costituite da plexiglas. Il plexiglas e tutti gli altri fogli sono bucati ai 4 angoli con quattro forellini attraverso i quali passano delle viti; ho incluso poi una chiave esagonale autografata, anch’essa in plexiglas, per sbullonare il libro. Il tutto dà l’idea di uno scrigno. Dopodiché ha anche un senso meccanico, strutturale, perché questo libro è fatto per essere inabile ad aprirsi da sé stesso: ha proprio bisogno del lettore che lo smonti. È quindi chiaro che ti trovi qualcosa che non sembra un libro ma un oggetto d’arte, elegante, misterioso, robusto, col quale devi necessariamente interagire. Quasi un “libro-ikea”».

L’altra particolarità evidente è quella della compresenza di due libri: quello di poesie e quello di foto.
«Sì, da un lato c’è la mia Gastroteca. Sottovuoto erotico alimentare + Sonnolenza. Impressioni del dormiveglia, con ventidue fotografie di Seba_bnw; girando il libro trovi invece La Sérénade Interrompu + Minstrels, libro di foto di Seba_bnw, con didascalie di Andrea Parasiliti: nel senso che le poesie che ho scritto possono essere lette come didascalie, cioè come esplicative della foto, in senso surreale. Quindi c’è questa doppia possibilità di fruizione: poesia illustrata o foto istoriata».

Un’opera interattiva e collaborativa, quindi. Oltre a te chi ha partecipato alla realizzazione?
«Il lavoro parte ovviamente dalla scrittura, con degli aforismi poetici, che ho cominciato a elaborare lo scorso dicembre in trance jazzistica, ascoltando il Massimo Faraò Trio. Dopodiché mi sono costruito la mia squadra: prima ho contattato Seba_bnw, un fotografo eccezionale che sta a Milano e, per caso, è un vecchio zio, fratello di mio nonno. Poi ho cercato un grafico che potesse dare un impatto visivo estremamente forte, e che sapesse giocare bene con la mancanza di colori (infatti, nel contesto del covid, ho preferito lavorare in bianco e nero): ho quindi coinvolto Gianni Alescio, un grafico bravissimo e carissimo amico, come me di Chiaramonte Gulfi. Per tagliare il plexiglas, dopo alcuni fallimentari esperimenti in casa, mi sono rivolto a Lucio Lucifora (anche lui di Chiaramonte Gulfi), che realizza diverse piccole opere d’arte e oggetti di design. Per la parte ingegneristica e meccanica ho chiesto anche la consulenza di mio padre. Quindi un lavoro artigianale, fatto con amici d’infanzia, con il quale ricostruisco anche una genealogia familiare».

Per chiudere il cerchio, merita ancora qualche parola la questione dell’editore, che trovo particolarmente affascinante.
«“Blake & Pound Privatizations Inc.” è una casa editrice che non esiste, pensata da Miro Silvera, scrittore al quale il mio libro è dedicato. Lo incontrai anni fa nella libreria del riacquisto “Libet”, la più bella di Milano, dove lui mi scambiò per un aiuto-libraio (cosa che mi inorgoglì moltissimo). Chiarito l’equivoco, Miro mi regalò Les Angeliques, un suo libro di poesie edito proprio da Blake&Pound: gli chiesi subito di questo editore, che mi colpì particolarmente per il nome. Lui mi raccontò che era una sua casa editrice clandestina che aveva fatto pubblicazioni underground negli anni ’60 e ’70, cui diede questo marchio – rigorosamente non registrato – dedicato a questi due poeti. Con Miro tuttora ci sentiamo spesso, e così, quando mi trovai senza un editore per questo progetto, gli chiesi se potessi pubblicarlo con il marchio Blake&Pound: lui mi disse che potevo senz’altro, e anzi me lo regalò; quindi adesso Blake&Pound è mio. L’indirizzo in cui l’ho collocato è via Pietro Custodi 12 a Milano, dove c’era la galleria “Derbylius” di Carla Maria Roncato, eccezionale gallerista e libraia d’arte scomparsa 4 anni fa. Così ho creato questa rete di legami tra alcuni amici viventi e altri, ormai, assenti».

Chiarito il processo creativo, cosa ci dici delle poesie in sé?
«Il mio libro si divide in due parti: i primi componimenti formano la Gastroteca. Sottovuoto erotico alimentare, gli altri Sonnolenza. Impressioni del dormiveglia. I primi hanno un tema alimentare, ai quali si associa un’immagine erotica o comunque corporea; tuttavia è un erotismo abbastanza disilluso. Il sottovuoto dà l’idea di qualcosa che non possa essere raggiunto, è una camera iperbarica della vita nella quale siamo entrati, un allontanamento dalle pratiche del toccarsi, dello stare insieme, della corporeità dell’altro; dall’altra parte la sonnolenza è questo torpore che ti deriva da questa pratica smaterializzata. Se la gastroteca è la disillusione, la sonnolenza è la rivelazione, la presa di coscienza».

Questo discorso dell’allontanamento e dello smaterializzamento ci riporta all’isolamento del Covid…
«Sì, e al plexiglas come strumento della divisone sociale che ha invaso il mondo nello scorso anno: interrompere il contatto anche con il respiro del vicino. L’idea principale di questo libro è la carta ferita e imprigionata dal plexiglas. La chiavetta per aprirla, con il mio autografo, non è puro narcisismo: è la chiave dell’artista con la quale liberare l’arte, per riappropriarsi della vita, della convivialità, della corporeità».

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