Cultura

I “visi mostruosi”:
da Leonardo a Bacon
in mostra a Venezia

VENEZIA – L’universo dei cosiddetti “social” (quell’arguta abbreviazione che indica una panoplia seducente e lusinghiera di social media e – attenzione – network) è ormai la comprovata, ampliata ed esasperata versione secondo-millennio della preclara galleria degli specchi di Versailles. Tra like e cuorate (neologismo fresco di… stampa), una o più stories che si rivelano trailer di abortiti colossal e movenze inconsuete da automatismo psichico neo-surrealista, la diffrazione dell’immagine del singolo individuo è pressoché infinita e la Wunderkammer di autoritratti più o meno accattivanti si propaga nell’etere amplificandosi man mano che fioccano le reazioni (si spera positive) di amici, parenti e (ancor più desiderate) di perfetti sconosciuti. Questa sovraesposizione dell’immagine di sé così tanto agognata ma, allo stesso tempo, inevitabilmente temuta è la formula subdola in cui il limite tra l’essere apprezzati e il diventare oggetto di pubblico ludibrio è sottilissimo.

Dal connubio (o dallo iato) che si va quindi a creare tra disformismo e disforia – corporale, mentale e così via – ne nascerebbe un trattato ben più degno della breve disamina qui in oggetto. Quanto sopra farebbe di certo sorridere i nostri antenati e forse li incuriosirebbe non poco. In passato avere uno specchio era un lusso inimmaginabile ed osservare, esaminare, ammirare la propria immagine su di una superficie riflettente era avvenimento raro. Anzi, il mito ben ci mette(va) in guardia dal troppo tempo passato a contemplare con fare onanistico la duplicazione del proprio io (Narciso docet).

Tuttavia l’osservazione dell’alterità – uomini, animali, natura – era pratica comune, la vera essenza del metodo artistico e scientifico. E ciò che coglieva l’attenzione dell’osservatore era il mondo nelle sue forme più varie, dalle regolari alle bizzarre o, con termine contemporaneo, dismorfiche.

La mostra che si è aperta a Venezia a palazzo Loredan, presso l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, ci porta indietro di qualche secolo per farci riflettere, senza pretesa di giudizio, sugli esempi di ritratti che, per semplicità, vengono spesso catalogati come caricature. L’intento di queste opere non è però sempre di natura ludica. “De’ visi mostruosi non parlo, perché senza fatica si tengono a mente”, così si legge tra le annotazioni di Leonardo da Vinci nel Codice Atlantico e nel Trattato della Pittura; e sicuramente rimarranno impresse nelle menti dei visitatori le tante “teste caricate” o “grottesche”, i volti deformi, le figure esagerate o caricaturali realizzate dai grandi artisti attivi in Italia settentrionale tra il XVI e il XVIII secolo, esposte nella mostra promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue.

Le opere in mostra sono oltre 75 e provengono da musei e collezioni private internazionali (Louvre di Parigi, Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco, Gallerie degli Uffizi, Staatliche Kunstsammlungen di Dresda, il Designmuseum Danmark, le Gallerie dell’Accademia di Venezia fino al Sainsbury Centre for Visual Arts della University of East Anglia di Norwich e la Devonshire Collections di Chatsworth) con uno straordinario nucleo di ben 17 disegni autografi leonardeschi, tra cui la nota “Testa di Vecchia” della Collezione Ligabue.

Prestiti che informano un percorso di altissimo livello, tra confronti e rimandi tra da Vinci, Anton Maria Zanetti, Tiepolo, Francesco Melzi, Paolo Lomazzo, Aurelio Luini, Donato Creti, Arcimboldo, ma anche Carracci e Parmigianino. Un tema coinvolgente e dai molteplici risvolti quello dell’alterazione o deformazione della fisionomia che nel XX secolo assume nuovi significati: basti pensare al capolavoro di Francis Bacon -”Tre studi per un ritratto di Isabel Rawsthorne” – in chiusura. «È l’Uomo al centro dei nostri interessi. Venezia è il punto di partenza e di ritorno delle nostre esplorazioni e delle nostre ricerche e voglia di scoprire e di condividere è il motore della nostra Fondazione – spiega Inti Ligabue, Presidente della Fondazione intitolata al padre – Anche questa esposizione ci induce a riflettere sulla nostra umanità».

E’ quindi interessante ritrovarsi ad osservare con attenzione e privilegiata distanza (temporale) un mondo dismorfico che faceva parte ontologicamente della varietà umana dei nostri avi (oggi la chiamiamo diversity). Nel flusso psico-antropologico che si ciba della sovraesposizione e condivisione ossessiva e spasmodica del nostro corpo o di come vorremmo che fosse in cui l’immagine perfetta di sé (o presunta tale) non è in realtà sufficiente ad attrarre like e cuoricini, è lodevole potersi soffermare su ciò che il passato ci pone davanti agli occhi.

Un passato che ci ricorda che il bislacco, il bizzarro, lo straordinario, il mostruoso (portento miracoloso inviato dalla divinità nella civiltà latina), il capriccio, la stranezza, la stravaganza, la storpiatura, la stramberia sono sinonimi dei più cangianti eccentricità ed anticonformismo. Ricordiamo che fu il Barocco che fece di questa natura complessa e multiforme l’eclettica norma. Il Seicento – il grande secolo della modernità e di Proteo, la divinità della metamorfosi – tutte queste declinazioni le fece proprie e le cantò nelle maniere più alte, dalla poesia all’arte figurativa alla musica. Perché non dobbiamo dimenticarci che barocca è la perla imperfetta il cui essere bislacca dichiara ed accresce la propria bellezza.

[”De’ visi mostruosi e caricature. Da Leonardo da Vinci a Bacon“ resta aperta al pubblico fino al 23 aprile 2023]

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