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Ingressi nei Paesi al tempo del Covid: da un estremo all’altro

ROMA – Due paesi, due misure. Avete letto bene: non è un refuso del celebre detto “due pesi, due misure” anche se il senso di ciò che stiamo per raccontarvi è proprio quello.

I due paesi in questione sono Italia e Canada, il tema è l’ingresso nei confini nazionali al tempo del coronavirus. Ad offrirci lo spunto è il racconto di una nostra fonte che preferisce rimanere anonima e che ha vissuto in prima persona l’esperienza di un viaggio aereo da Parigi a Roma, nei giorni scorsi.

“Ho acquistato un biglietto alle nove del mattino, all’aeroporto De Gaulle di Parigi (nella foto sopra), per prendere il volo delle 14.35 per Roma”, racconta la nostra fonte che è italiana. “Dovevo rientrare a casa dopo un viaggio di lavoro. Ma, di fatto, nessuno mi ha chiesto chi fossi (nel senso: quale fosse il mio lavoro e cosa ci facessi ‘in giro’) e dove andassi”.

“All’acquisto del biglietto – prosegue – nessun problema, all’imbarco nemmeno: bastavano ticket e passaporto, non ho visto particolari controlli sui passeggeri, nemmeno su quelli non italiani. In volo, ci hanno fatto compilare due autocertificazioni piuttosto generiche: domande come ‘hai fatto un tampone? Se non l’hai fatto, dove passerai la quarantena? In quali altri Paesi sei stato?’ etc. etc.”.

Una delle due autocertificazioni è stata trattenuta dalle hostess “e l’altra, così ci hanno detto a bordo, andava consegnata agli ufficiali addetti ai controlli una volta sbarcati all’aeroporto di Fiumicino”, prosegue la nostra fonte che poi racconta il momento culminante: “Una volta scesi dall’aereo, abbiamo attraversato praticamente tutto l’aeroporto di Fiumicino per arrivare alla consegna dei bagagli, senza che nessuno, ripeto nessuno, fermasse alcuno di noi (la metà era straniera) anche solo per chiedere il passaporto. Solo poco prima dell’uscita, un addetto dell’aeroporto ci ha misurato la temperatura. Nient’altro. E l’autocertificazione ci è rimasta in tasca”.

E poi il colmo: “L’unico controllo, a me, è stato fatto per puro caso alla stazione ferroviaria di Roma Ostiense, semideserta, dove aspettavo il treno per tornare a casa. Alcuni agenti della Polizia di Stato erano infatti sui binari a chiedere ai passeggeri di esibire le autocertificazioni. Per il treno sì, per l’aereo no?!?” si chiede la fonte.

Da un estremo all’altro. Entrare in Canada, al tempo del coronavirus, è pressoché impossibile per chi non è cittadino canadese o permanent resident. Innanzitutto sono necessari permessi di studio o di lavoro ma questi ultimi vengono rilasciati solo ad un ristrettissimo gruppo di lavoratori appartenenti a categorie “particolari” e quasi tutte legate all’emergenza sanitaria (e va comunque dimostrato). In più, prima di partire occorre munirsi dell’Eta (Electronic travel authorization) e va effettuata l’applicazione ArriveCAN dove è obbligatorio comunicare chi siamo, cosa facciamo, dove andiamo e perché e dove staremo nei quattordici giorni di quarantena: indirizzo e naturalmente numero di cellulare ed e-mail. E non finisce qui: da alcuni giorni è obbligatorio effettuare un tampone molecolare (quello rapido non basta) al quale occorre sottoporsi 72 ore – al massimo – prima della partenza. Naturalmente il risultato deve essere negativo e deve arrivare prima dell’imbarco: senza quello, sull’aereo non si sale.

Come per venire in Italia, via…

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