Canada

Ultimatum dei ribelli: Trudeau deve decidere entro il 28 ottobre, ancora accuse e veleni

TORONTO – A ventiquattrore dal caucus liberale in cui Justin Trudeau ha ribadito la sua volontà a rimanere alla guida del partito, emergono tutti i dettagli di una vicenda che è tutt’altro che conclusa. A quanto pare, la ribellione nelle fila grit non ha deposto l’ascia di guerra, ma vuole arrivare fino in fondo.

Stando a quanto confermato da alcuni deputati presenti alla rese dei conti, durante la riunione del gruppo parlamentare è stata letta a Trudeau la lettera nella quale ventiquattro deputati chiedevano senza mezze parole il passo indietro del primo ministro dalla guida del partito e del governo. Una richiesta, quella avanzata dal drappello dei ribelli, accompagnata da un ultimatum: il primo ministro dovrà dare una risposta chiara entro il 28 ottobre. Dopo questa scadenza, i deputati firmatari si considerano liberi di agire di conseguenza.

Il leader liberale, pur ribadendo la sua intenzione a rimanere al timone del partito, ha accettato di prendersi qualche giorno di tempo per valutare quanto chiesto nel documento presentato al caucus. Non sono stati ufficializzati i nomi dei deputati firmatari, anche se è stato confermato come nella lista non sia compreso nessun nome di attuali componenti dell’esecutivo.

Sono tre i parlamentari che sono usciti allo scoperto e che hanno confermato di aver firmato la richiesta di dimissioni del primo ministro: si tratta di Ken McDonald (eletto in Newfoundland’s), Sean Casey (Prince Edward Island) e Wayne Long (New Brunswick). Di questi solo Casey ha confermato la sua intenzione a ricandidarsi alle prossime elezioni federali, mentre McDonald e Long hanno annunciato che non correranno al voto del 2025.

Quelle che emerge quindi è uno scenario ben diverso da quanto descritto dal ristretto cerchio dei fedelissimi di Trudeau nelle ore successive al caucus. Il primo ministro, uscito dalla riunione, aveva liquidato le domande dei giornalisti con un semplice “il partito è forte e unito”, mentre numerosi ministri avevano minimizzato la versione della ribellione di alcuni deputati: “normale dialettica interna”, “discussione proficua”, “confronto sui contenuti”.

Insomma, la presunta ribellione era stata riassunta come un semplice scambio di punti di vista all’interno del partito su cosa fare per dare una svolta all’azione di governo, su come rinvigorire l’agenda dell’esecutivo e su come recuperare il consenso perduto nell’elettorato canadese.

La realtà che ne esce il giorno dopo è ben diversa. Il partito è diviso, i ribelli non sono disposti a mollare l’osso e il primo ministro ora si trova davanti a un bivio: andare avanti per la sua strada rischiando di acuire le spaccature interne di un governo che già adesso non gode del sostegno della maggioranza dei deputati alla House of Commons o cedere alle richieste della fronda interna e farsi da parte. Senza dimenticare che, se da un lato il primo ministro deve dare una risposta entro il 28 ottobre, entro il 29 ottobre scade anche l’ultimatum del Bloc Quebecois, che ha chiesto il sostegno del governo a due disegni di legge presentati nei mesi scorsi: senza il via libera di Trudeau, i blocchisti sono pronti a presentare l’ennesiam mozione di sfiducia alla House of Commons.

Nel frattempo il leader dell’opposizione Pierre Poilievre continua a premere per il voto anticipato, mentre il leader dell’Ndp Jagmeet Sing resta ai margini, pronto magari a intervenire per garantire i voti necessari alla sopravvivenza dell’esecutivo guidato da Trudeau.

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