TORONTO – Non ci sarà alcuna riunione straordinaria del gruppo parlamentare liberale durante l’estate. La conferma è arrivata per iscritto direttamente da Brenda Shanahan, presidente del caucus nazionale del partito, dopo le pressanti richieste fatte da un nutrito drappello di deputati per un incontro con Justin Trudeau (nella foto sopra). L’obiettivo dichiarato era quello di fare il punto della situazione dopo la batosta elettorale alle elezioni suppletive di Toronto St. Paul’s, dove la candidata liberale Leslie Church è stata battuta contro ogni previsione della vigilia dal conservatore Don Stewart. La motivazione ufficiale ribadita da Shanahan è quella del carattere “logistico”, un termine generico che conferma una decisione presa dall’alto che sa tanto di scusa. Il cerchio magico attorno al primo ministro non vuole, evidentemente, fornire un’opportunità di un regolamento di conti interno davanti alle telecamere, che potrebbe alimentare la percezione di un partito diviso, lacerato da fazioni interne, tra chi vorrebbe Trudeau ancora in sella e chi, al contrario, chiede le dimissioni per cercare il rilancio prima che sia troppo tardi.
Una tesi questa che viene peraltro confermata indirettamente da quanto scritto dalla stessa Shanahan, che invita tutti i componenti del gruppo parlamentare liberale a “rispettare la natura confidenziale del caucus e non far filtrare notizie riservate ai media”.
La decisione di non convocare un vertice straordinario potrebbe però avere un effetto contrario. Chi all’interno del partito inizia a nutrire seri dubbi sulla capacità di tenuta del leader liberale potrebbe interpretare questa scelta come un segno di ulteriore debolezza. Resta un dato di fatto, comunque, che per avere una seppur minima chance di arrivare al voto del 2025 con la prospettiva di vittoria, serve una svolta netta e chiara nell’agenda di governo: una svolta che fino a questo momento non è arrivata. Il primo passo, secondo la road map liberale, sarebbe dovuto essere il Budget primaverile, che invece non ha portato nulla in termini di consenso. I sondaggi non hanno registrato alcun miglioramento, al contrario il divario tra i liberali e il Parttio Conservatore di Pierre Poilievre si è ormai stabilizzato intorno al 20 per cento.
Tra le ipotesi sul tavolo, visto che il primo ministro non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro dal governo e dalla guida del partito, c’è quella di un rimpasto dell’esecutivo per dare un nuovo slancio all’azione di governo in vista del riavvio dei lavori parlamentari in programma a settembre. Ma nei prossimi mesi il primo ministro dovrà anche fare i conti con altre quattro elezioni suppletive, a partire da quelle distretto rappresentato dal deputato dimissionario David Lametti, LaSalle-Emard-Verdun. E visto quello che è successo a Toronto-St. Paul’s, si è ormai capito che non esiste più un distretto sicuro in tutto il Paese. Un’eventuale sconfitta alle byelections rappresenterebbe un ulteriore duro colpo alla credibilità di Trudeau. Il primo ministro, inoltre, deve fare i conti anche con il “fuoco amico”. Nei giorni scorsi era stata l’ex ministro Catherine McKenna a chiedere con forza le dimissioni di Trudeau dopo la disfatta alle suppletive: ora la picconata arriva dall’ex ministro degli Esteri Marc Garneau, che nella sua autobiografia “A Most Extraordinary Ride: Space, Politics and the Pursuit of a Canadian Dream”, che sarà pubblicata a ottobre, sostiene che la reputazione internazionale del Canada ha fortemente risentito dalla presenza dell’attuale primo ministro.
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