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Eroi di Lavoro
(Mercoledì di Rochester)

Il 31 agosto del 1935 il minatore sovietico Aleksej Stachanov – sopra, al centro – divenne una celebrità nell’URSS per aver ideato una nuova metodologia di estrazione del carbone, riuscendo ad estrarre 102 tonnellate di materiale in un solo turno. Non fece tutto da solo – riorganizzò il lavoro della sua squadra, riservando a sé il ruolo più complesso di ‘taglio’ del minerale dalla faccia di scavo e lasciando ai compagni il compito di caricare il carbone sui carrelli. Il nuovo metodo riuscì ad aumentare la produttività della squadra di quattordici volte.

In onore di Stachanov, in Unione Sovietica il 31 agosto fu poi proclamato il “giorno del minatore di carbone”. L’episodio lasciò una traccia anche nella lingua italiana, nell’uso del termine ‘stacanovista’ per descrivere uno che lavora come un dannato. Certo, quello di Stachanov è un record che oggi non ha più un significato. All’epoca i minatori sovietici lavoravano con mezzi molto semplici: piccozze, pale e un minimo di meccanizzazione. L’automazione ha cambiato totalmente il modo di estrarre il carbone dalle miniere, come, più in generale, l’introduzione di nuove tecnologie ha cambiato molti aspetti del lavoro di oggi.

Degli effetti legati all’automazione sul lavoro si era già accorto nel 1930 l’economista inglese John Maynard Keynes, quando calcolò che, in base ai progressi fatti, i suoi nipoti futuri avrebbero dovuto faticare per solo 15 ore alla settimana. Keynes finì per non avere nipoti propri e, come vediamo, sbagliò anche i conti. Tuttavia, non aveva tutti i torti. Da allora la graduale tendenza in tutto l’Occidente – e non solo – è stata verso una progressiva diminuzione dell’orario di lavoro. Gli economisti americani hanno calcolato che, tra il 1965 e il 2003, negli Usa la settimana lavorativa media maschile è passata da 51 ore a poco meno di 40 ore, per poi scendere in maniera meno marcata negli ultimi due decenni.

Da qualche tempo, particolarmente dopo la serie di lockdown per la pandemia Covid, c’è stata un’impennata d’interesse per la “settimana corta” di quattro giorni – fermo restando, ovviamente, che i salari non scendano anche loro di un quinto nel caso questa politica venisse adottata… In alcuni paesi sono stati condotti esperimenti limitati senza arrivare a risultati inequivocabili, anche a causa della difficoltà a sincronizzare il lavoro a quattro giornate con il mondo circostante che gira ancora a cinque.

Il vero problema però è più economico che organizzativo. In fondo, la proposta è di ridurre improvvisamente del 20% il tempo umano dedicato alla produzione e, almeno a lungo termine, per l’intera popolazione. Purtroppo, è proprio quella produttività che ‘paga il conto’. Alla lunga, è probabile che la tendenza alla riduzione dell’orario – costante da ormai un secolo – prosegua, seppure con gradualità e solo dopo aver affrontato la domanda chiave: siamo davvero pronti ad accettare la riduzione dei consumi che tutto ciò necessariamente imporrebbe?

Image credit: pubblico dominio

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