TORONTO – Chi si aspettava il colpo di scena è rimasto deluso. Justin Trudeau resta, almeno per ora, leader del Partito Libera e primo ministro del Canada. La fronda interna, che ieri ha espresso le proprie rimostranze verso il leader grit chiedendo il passo indietro, non è riuscita nel suo obiettivo. A conclusione di un caucus lunghissimo, la parola d’ordine per tutti i parlamentari è stata solo una: minimizzare.
Se da un lato lo stesso Trudeau si è limitato a liquidare la riunione del gruppo parlamentare con un laconico “il partito è forte e unito”, i deputati all’uscita del meetign hanno fatto a gara per rimarcare come nell’incontro ci sia stata una discussione schietta e franca sull’attuale situazione di come – con sfumature diverse – l’esecutivo debba per forza di cose cambiare passo, voltare pagina, accelerare sull’agenda di governo e portare a termine gli obiettivi di questa legislatura prima delle prossime elezioni federali.
Il messaggio che esce dal caucus che, almeno nelle aspettative della vigilia, poteva concludersi con il passo indietro del primo ministro, è che sarà ancora Trudeau il leader del partito al prossimo appuntamento alle urne.
Il ministro dell’Industria e dell’Innovazione François-Philippe Champagne ha ribadito come nella riunione di ieri ci sia stata “una discussione estremamente produttiva, come avviene in famiglia a tavola”. Da questo franco scambio di idee – ha aggiunto – è emerso come il partito abbia intenzione di andare avanti con l’attuale leader.
Un concetto questo ribadito dal ministro dell’Immigrazione Marc Miller, che ha sottolineato come un tale dibattito non possa che essere “positivo e produttivo” per lo stato di salute del partito. Insomma, la presunta rivolta promossa da 24 deputati ribelli si sarebbe ridotta in un confronto serrato su quanto fatto e soprattutto su cosa fare nei prossimi mesi per cercare di riguadagnare la fiducia dell’elettorato canadese.
E in linea con questo ragionamento il governo si prepara a una nuova stretta sull’immigrazione: oggi infatti lo stesso Miller annuncerà cambiamenti profondi nel sistema dell’immigrazione, che secondo le proiezioni del governo dovrebbe portare 500mila nuovi residenti permanenti nel 2025 e altrettanti l’anno successivo.
Tornando al caucus, restano chiaramente delusi coloro che avrebbero voluto un cambio alla guida del partito. Sean Casey, l’unico deputato in carica ad aver chiesto ufficialmente il passo indietro di Trudeau, non ha voluto rilasciare dichiarazioni, mentre tanti presunti sostenitori della lettera nella quale si chiedeva a Trudeau di gettare la spugna hanno preferito rimanere nell’ombra, senza firmare il documento e senza dare il supporto necessario a chi lo stava promuovendo.
Nel frattempo, superato questo maggiore scoglio, per il primo ministro restano dei nodi da sciogliere nell’immediato futuro. Il più impellente riguarda il necessario rimasto di governo, dopo l’annuncio giovedì scorso da parte di quattro ministri – Marie-Claude Bibeau (Entrate Nazionali), Carla Qualtrough (Sport), Filomena Tassi (Sviluppo Economico del Sud dell’Ontario) e Dan Vandal (Affari del Nord) – della loro intenzione a non candidarsi alle prossime elezioni. Trudeau sarà quindi costretto a mischiare le carte e dovrà farlo con estrema cura, visto che quello in arrivo molto probabilmente sarà l’ultimo rimpasto dell’esecutivo prima delle elezioni in programma tra un anno.
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