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Ottawa, tempo di riflessioni per Trudeau: il governo traballa

TORONTO – Tempo di riflessioni per Justin Trudeau. Tamponata in qualche modo la crisi provocata dalle repentine dimissioni dal dicastero delle Finanze di Chrystia Freeland con il rimpasto di governo, il primo ministro deve però fare i conti con la ribellione interna al partito e con le opposizioni pronte a far cadere l’esecutivo. Certo, Trudeau fino al 28 gennaio sarà padrone del proprio destino, visto che l’ultima sessione parlamentare è terminata la scorsa settimana e la House of Commons resterà chiusa sino alla fine di gennaio. Ma si tratta di una tregua che non scaccia i problemi, ma che anzi li amplifica. Anche perché la nuova squadra di governo poggia su delle basi fragilissime, pronte e a crollare in qualsiasi momento. E in questo caso a preoccupare Trudeau non è tanto il pressing delle opposizioni, che comunque già da gennaio saranno pronte all’imboscata parlamentare per certificare la crisi, quanto il malessere all’interno del Partito Liberale. Tanti, troppi deputati federali hanno espresso in modo più o meno esplicito il loro desiderio di un cambio al timone del governo, con tanto di dimissioni del primo ministro per dare il via alla corsa alla leadership grit.

Il leader liberale è quindi davanti a un bivio, ancora una volta. Da un lato c’è il suo orgoglio, che gli dice di continuare come se niente fosse, contro tutto e contro tutti, anche contro quei sondaggi che ormai certificano la distanza siderale che divide i conservatori dai liberali nelle intenzioni di voto. Dall’altro, invece, c’è l’ipotesi di rinuncia, di passo indietro, accompagnata magari dalla “prorogation”, che metterebbe fine al suo governo dopo quasi dieci anni.

Fino a questo momento, il primo ministro ha imboccato la prima strada, senza però escludere pubblicamente un eventuale ripensamento. Anche perché da lunedì scorso, quando le dimissioni della Freeland hanno fatto traballare l’esecutivo, il primo ministro ha scelto la strada del silenzio, parlando solamente a un evento natalizio organizzato dal Partito Liberale, senza dare spiegazioni sulle sue scelte e senza indicare le proprie intenzioni per l’immediato futuro.

Ecco allora che questa pausa natalizia servirà a Trudeau proprio per capire se varrà la pena continuare a non ascoltare le richieste di dimissioni o se invece sarà il caso di mollare la presa, prima che il partito venga completamente affossato dal malessere strisciante che si respira nell’elettorato canadese verso il primo ministro.

D’altro canto il livello di saturazione è palpabile, come confermano tutti i sondaggi dell’ultimo mese. Ieri, ad esempio, è uscita l’ennesima rilevazione statistica della Ipsos, che dipinge uno scenario devastante per i liberali. Secondo il sondaggio in questione, infatti, se si votasse in questo momento il Partito Conservatore di Pierre Poilievre catturerebbe il 45 per cento dei voti, contro il 20 per cento del Partito Liberale. La forbice, 25 punti percentuali, è la più ampia mai registrata dal 2015, anno in cui Trudeau vinse le elezioni e inaugurò la sua esperienza di governo.

Di pari passo con il malcontento nell’elettorato canadese si registra l’aumento del numero di ribelli all’interno del partito che chiedono la testa del primo ministro.

Sabato scorso 51 deputati grit eletti in Ontario si sono riuniti virtualmente per fare il punto della situazione e, a quanto pare, nessuno ha espresso il proprio sostegno a Trudeau. Quando questa notizia è uscita sugli organi di stampa, nessun deputato liberale eletto in Ontario ha pubblicamente smentito. Un segnale, l’ennesimo, di come il futuro politico di Trudeau sia caratterizzato dall’incertezza più assoluta.

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