Cultura

Io Capitano, una “favola omerica”

TORONTO – Vincitore del Premio David Di Donatello per il miglior film nel 2024 e candidato come miglior film straniero agli Academy Awards e ai Golden Globe, “Io Capitano” si è guadagnato il plauso dei massimi esponenti del settore affascinando il pubblico di tutto il mondo. Il film, una fusione di storie vere basate su quattro migranti che hanno viaggiato dal Nord Africa all’Europa, è pubblicizzato come una “favola omerica”. Ispirante sì, ma uno sguardo complesso. Uno sguardo, raro, alle torture e agli abusi subiti dai migranti mentre vengono trafficati in Europa attraverso il Nord Africa – un viaggio spesso fatale per coloro che lo rischiano.

Il regista e co-sceneggiatore è Matteo Garrone: “Tutto è iniziato con il desiderio di raccontare la parte della storia che nessuno conosce. Abbiamo cercato di darti la possibilità di vivere il viaggio attraverso gli occhi di [un migrante di 16 anni] Seydou. Le storie sono tutte basate su storie vere. Volevamo dar loro voce”. L’immigrazione clandestina è una questione scottante per gli europei e soprattutto per gli italiani, dato che l’Italia deve far fronte a più arrivi via mare di qualsiasi altro Paese d’Europa – circa 158.000 nel 2023. “Io Capitano”, tuttavia, non offre soluzioni alla crisi. È semplicemente la prospettiva di un migrante.

Il viaggio inizia a Dakar in Senegal, dove i cugini musicalmente dotati Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall) sognano la celebrità in Europa. Avendo messo da parte abbastanza soldi per la partenza, lasciano le loro famiglie e rischiano tutto per arrivare in Italia.

Per farlo, dovranno sopravvivere al caldo torrido del Sahara e a un tratto quasi impossibile attraverso il Mediterraneo, che a quanto pare è il minimo dei loro ostacoli. Seydou e Moussa diventano maggiorenni durante una spaventosa catena di eventi, incontrando cadaveri di rifugiati per strada, torturati da bande libiche e venduti come schiavi.

Gli orrori rappresentati sono del tipo vedere per credere, indicibili per la maggior parte e ancor più scoraggianti perché la storia è vera. “Io Capitano”, nonostante descriva nei dettagli il tragico viaggio di molti sfortunati rifugiati, porta alla luce come solo i film possono [a volte] fare, i brutali sacrifici sostenuti prima di raggiungere le coste italiane. Anche se lo spettatore non può fare a meno di simpatizzare con Seydou, la sceneggiatura di Garrone non politicizza la questione. “In questo caso… poiché stai raccontando un argomento così delicato, devi stare molto attento ed essere semplice”, dice Garrone.

L’Italia, sotto il governo Meloni, ha cercato controlli più severi sull’immigrazione clandestina, ma non ha ancora mantenuto la promessa, citando la mancanza di sostegno da parte dell’UE sulla questione. Altri, come enti di beneficenza e attivisti, vorrebbero vedere più strutture di aiuto e accoglienza aperte per i nuovi arrivati. “Io Capitano” di Garrone non pretende di risolvere la questione ma cerca di “raccontare questa odissea dal punto di vista dell’Africano”, dice il regista. “Siamo abituati a vedere arrivare la barca, a volte colme di  persone vive, a volte di morti, e non sappiamo molto bene cosa succede prima”.

Sapere cosa succede prima rende la questione meno complicata? Probabilmente no. Ma è un duro promemoria del fatto che gli esseri umani stanno soffrendo, su entrambi i lati dell’equazione.

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Tutte le immagini sono di Archimede Films  

Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix

 

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