Canada

Interferenze cinesi,
Singh alza la voce
ma il governo non si impegna

TORONTO – Esiste davvero il rischio di una crisi di governo sull’onda lunga dello scandalo delle interferenze cinesi? È questa la domanda che sta alimentando il dibattito politico canadese dell’estate 2023, con il governo federale che va avanti per la propria strada e con le opposizioni che rumoreggiano ma che non si muovono concretamente per costringere l’esecutivo a fare chiarezza una volta per tutte.

A mettere i puntini sulle i, ultimo in ordine di tempo, è stato Jagmeet Singh che ha chiesto per l’ennesima volta al primo ministro Justin Trudeau di considerare seriamente la richiesta di attivare un’inchiesta pubblica per fare luce sulle interferenze straniere sul processo elettorale canadese, partendo dal rapporto redatto dall’ex governatore generale David Johnston che in sostanza ha inchiodato Pechino alle sue responsabilità. Ma sul documento a Parliament Hill non esiste una unità di vedute. Per il primo ministro il rapporto di Johnston rappresenta la conclusione di un percorso conoscitivo, un prezioso strumento da valutare per impedire che in futuro si ripetano gli episodi accaduti nelle tornate elettorali del 2019 e del 2021. Per le opposizioni, invece, il documento redatto dall’ex governatore generale rappresenta un punto di partenza, una base dalla quale partire per scavare più a fondo.

Bisogna ricordare che lo scontro politico sulla vicenda ha già provocato delle importanti conseguenze. Johnston ha deciso di rassegnare le sue dimissioni, giustificandole con il clima “tossico e partitico” scatenato dalla sua bocciatura dell’ipotesi di creare una commissione d’inchiesta indipendente. Il governo liberale ha passato la palla alle opposizioni, chiedendo di presentare una serie di proposte per uscire dall’impasse, aprendo anche all’ipotesi di attivare eventualmente un’inchiesta pubblica, ma con la proposta di un nome autorevole e bipartisan per guidarla.

La mossa ha spiazzato le opposizioni, dividendole: il Bloc Quebecois ha chiesto di creare l’inchiesta pubblica, proponendo il nome dell’ex giudice della Corte Suprema Louise Arbour. Ndp e conservatori, invece, non hanno presentato nessuna lista di possibili candidati. Singh nei giorni scorsi ha bocciato la richiesta del Bloc: non tanto sulla qualità della proposta – Arbour è un personaggio autorevole e rispettato da tutti i partiti in parlamento – ma per il fatto che l’ex togata, esattamente come David Johnston, ha delle connessioni con la Trudeau Foundation e questo potrebbe fare emergere un evidente conflitto d’interesse nell’ambito dell’inchiesta pubblica.

“In ogni caso – ha aggiunto il leader neodemocratico – l’ho detto molto chiaramente al primo ministro e ai leader dell’opposizione: non possiamo permettere al primo ministro di sfruttare questa opportunità per poi sottolineare: ’Oh, ogni leader dell’opposizione ha una visione diversa. OK, non c’è consenso. Non andremo avanti”.

Tradotto: Trudeau non deve avere l’alibi delle divisioni tra i vari partiti d’opposizione per giustificare il suo immobilismo su questa delicata vicenda.

Secondo il leader neodemocratico i partiti dovrebbero mettere da parte le divisioni politiche e agire per il bene del Paese: troppo importante è infatti il rischio delle interferenze straniere nel processo elettorale del nostro Paese, un elemento che rappresenta una chiara minaccia alla sicurezza nazionale.

Anche se in questo momento non esiste un convergenza sul cosa fare nei prossimi mesi, governo e opposizione dovrebbero impegnarsi a trovare una strada comune da percorrere.

L’esecutivo, dal canto suo, va avanti per la propria strada. Il ministro per gli Affari intergovernativi Dominic LeBlanc ha ribadito che sta ancora aspettando proposte concrete dalle opposizioni: fino a quando non ci saranno, il governo considererò questa questione chiusa.

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