Primo Piano

Il Ministero della Verità,
tra neologismi
e nuove lettere in attesa
di omologazione

Fino a qualche decennio fa l’area HR – “Human Resources” – non era un importante centro di potere nelle grandi aziende anglo-americane. Seguiva la parte cartacea relativa alle assunzioni e ai pensionamenti, ma soprattutto gestiva le paghe.

Con la progressiva automatizzazione di quest’ultimo compito, le Risorse umane rischiavano di perdere altro peso.

Poi, nel 1986, una decisione della Corte Suprema americana ha applicato una legge risalente agli anni ’60 sui diritti civili – originariamente concepita per combattere la discriminazione razziale – alla discriminazione di genere sul posto di lavoro, complicando grandemente la gestione dei rapporti con il personale.

La necessità di monitorare gli equilibri aziendali tra gli uomini e le donne in materia di mansioni, retribuzioni, condizioni di lavoro e così via, ha ulteriormente allargato l’area d’intervento e i poteri delle HR, tenendo anche conto dell’avanzamento dei nuovi “generi sessuali”: quelli riassunti nella sigla LGBT – Lesbian, Gay, Bisexual e Trans – che nell’attuale estensione è diventata LGBTQIAPK, con altre lettere ancora in attesa di “omologazione”. Non è finita qui.

Col movimento #MeToo, è apparso evidente che anche il più potente e “intoccabile” CEO potesse cadere, non solo per un abuso, ma anche per un rapporto “inopportuno” con un dipendente – seppure consensuale – e perfino per un commento giudicato “insensitivo”.

E’ stata l’apoteosi, le chiave del regno e delle opinioni politically correct tutte in mano alle HR.

La questione delle “opinioni accettabili” ora tocca molti livelli nelle società anglosassoni. Finché queste sono in relazione con i temi di razza, di etnia o d’identità sessuale, possono facilmente trasformarsi in una carriera troncata o nel licenziamento. Il fenomeno è arrivato al punto che non è raro sentire parlare (sottovoce) delle HR come del “Ministero della Verità”, un’invenzione letteraria dello scrittore George Orwell nel romanzo “1984”.

L’immagine sopra, della Senate House dell’Università di Londra, sede del Ministero dell’Informazione britannico durante la Seconda Guerra mondiale, ne è stata l’ispirazione.

Con questi pregressi, l’entusiasmo delle più importanti strutture HR americane per la tecnologia emergente chiamata Emotion Tracking – la misurazione anche a distanza degli stati emotivi delle persone attraverso l’analisi computerizzata delle espressioni facciali e le dinamiche della voce – comincia a preoccupare.

La house organ della Deloitte ha recentemente avallato l’impiego della tecnica, invitando le dirigenze aziendali a esaminare le potenzialità di “un apparecchio per l’addestramento del comportamento” che “potrebbe anche trasmettere all’utente un check-up personalizzato o intervenire quando registra una certa risposta emotiva”.

Silicon Valley pullula ora di iniziative intese a misurare a distanza le altrimenti “inconfessabili” emozioni delle persone rivelate inconsapevolmente dal viso e dalla voce – e la gestione dei lavoratori a casa è considerata un’opportunità di mercato notevole.

Vista dall’altra parte, potrebbe essere un buon motivo per continuare a portare la mascherina anche quando la pandemia sarà debellata.

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