PARIGI – Quarantesei secondi, due cazzotti che avrebbero buttato giù una quercia, poi le lacrime. È finito come doveva finire l’incontro di boxe tra l’italiana Angela Carini e l’algerina Imane Khelif, pugile donna solamente sulla carta d’identità. Un incontro a senso unico, un match impari, che non sarebbe dovuto nemmeno iniziare. Il tutto nel nome dell’inclusività. Ma è davvero questa l’inclusività che vogliamo?
Inclusività significa in primo luogo tutela, rispetto e difesa dei diritti dei più deboli. Chi era il più debole ieri su quel ring? La decisione di far combattere una donna contro una persona geneticamente uomo ha provocato critiche, veleni e polemiche. Ma la condanna più forte è arrivata dalle associazioni femministe e da numerosi esponenti della comunità LGBTQ. A partire dall’ex tennista Martina Navratilova, importante rappresentante della stessa comunità arcobaleno. La Women’s Rights Network (WRN) ha pubblicato su X la foto della Carini in lacrime, con un commento lapidario: “Questo è il volto di una donna costretta a combattere contro un maschio alle Olimpiadi, con regole che danneggiano le donne. Vergogna per la Federazione Olimpica Internazionale. Il giorno più buio per lo sport femminile. Il CIO ha sanzionato la violenza maschile contro le donne. Angela Carini è stata defraudata dei suoi sogni olimpici”.
“Le Olimpiadi di Parigi saranno per sempre offuscate dalla brutale ingiustizia fatta a Carini”. Così la scrittrice britannica JK Rowling, popolare nel mondo come autrice della saga di Harry Potter e paladina della difesa di una linea distintiva biologica fra donne e uomini, ha duramente criticato sul suo profilo di X l’incontro di ieri. “A una giovane pugile è stato appena portato via tutto ciò per cui aveva lavorato e si era allenata perché è stato permesso a un maschio di salire sul ring contro di lei”, ha aggiunto Rowling.
E pensare che la presenza di Khelif nella lista delle pugili femminile aveva spaccato anche il mondo della boxe. A livello mondiale, il pugilato viene infatti gestito dall’International Boxing Association (IBA), mentre il torneo a cinque cerchi è posta sotto l’egida della Boxing Unit, unica organizzazione riconosciuta dal CIO. Per esser ammessi al Mondiale, l’IBA ha imposto il “gender test” tanto che Khelif è stata fermata a un passo dalla finale per l’oro nei pesi welter. Il test dei cromosomi dimostrava l’appartenenza al gender maschile. La decisione venne giustificata dal presidente dell’IBA Umar Kremlev che aveva spiegato come l’atleta algerina presentasse “cromosomi XY: l’estromissione dagli eventi sportivi è necessaria per garantire integrità ed equità della competizione”. Integrità ed equità che non sono state tutelate ieri.
Ma perché il CIO ha deciso di prendere una direzione diversa? “Queste atlete sono idonee, sono donne sul loro passaporto. Competono da molti anni e penso non sia utile iniziare a stigmatizzare le persone che praticano sport come questo”. Lo ha detto il portavoce del Cio Mark Adams nel corso nel briefing quotidiano in merito alle preoccupazioni legate da alcune pugili che hanno mostrato livelli di testosterone più elevati rispetto alle loro avversarie.
“Ma sono donne, hanno gareggiato a Tokyo 2020 – ha aggiunto – penso che tutti noi abbiamo la responsabilità di cercare di mitigare questa situazione e non trasformarla in una sorta di caccia alle streghe. Si tratta di atlete che hanno gareggiato nella boxe per molti anni”.
Nella foto in alto, Angela Carini dopo l’incontro (foto da Twitter X – @ItaliaTeam_it)
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