Cultura

Una “bibliografia disarmata”
contro il “virus del militarismo”

TORONTO – Il precipitare della situazione in Ucraina ha visto una serie di reazioni nella scena non solo politica, ma anche culturale italiana.

Si è già parlato su queste pagine, ad esempio, di alcune controverse decisioni che diverse istituzioni hanno preso per distanziarsi non solo dal governo di Putin, ma anche dalla cultura russa in generale. Non mancano tuttavia manifestazioni più composte di solidarietà alla causa ucraina e tentativi di analizzare il conflitto in un’ottica ‘neutrale’ (ammesso che la neutralità ideologica sia un’opzione praticabile in un contesto così polarizzante).

Alcuni intellettuali hanno però osservato come anche queste prese di posizione tendano a dare per scontato che ogni azione possibile sia comunque limitata all’ottica bellica.

La prima denuncia in questo senso arriva dal famoso collettivo bolognese Wu Ming, che già il mese scorso ha pubblicato un pamphlet intitolato “Una dichiarazione – politica e di poetica – sul virus del militarismo nel corpo sociale” (https://www.wumingfoundation.com/giap/2022/03/virus-militarismo/).

I Wu Ming partono dalla constatazione che l’ideale dell’UE per cui nessuna guerra si sarebbe più combattuta sul suolo europeo si era già da tempo rilevata utopistica; in Italia, in particolare, sarebbe particolarmente diffusa una morale patriottica fondamentalmente militaristica, riscontrabile nella celebrazione di determinati momenti della nostra storia nazionale, come anche in alcune vicende di cronaca (prima fra tutti la difesa dei marò arrestati in India).

Questa mentalità sarebbe filtrata anche nella retorica sul covid. In effetti, in ambito giornalistico ma anche nella quotidianità è diventata ormai prassi comune usare metafore belliche: la “guerra” al virus, i medici “eroi”, il vaccino come “arma”.

Il collettivo sottolinea una continuità tra le due narrazioni: “Oggi in molte dichiarazioni, in molti titoli di giornale, basterebbe rimpiazzare ‘Putin’ con ‘il Covid’”. Per quanto la condanna dell’attacco russo appaia perfettamente condivisibile, espressioni di sostegno all’Ucraina di questo tipo finiscono per l’essere guerrafondaie: “Quando c’è una guerra e si manifesta solo contro il nemico, si sta manifestando a favore della guerra.”

I Wu Ming concludono: “Bisogna veramente ricostruire, ripartire dall’ABC, recuperare tutta la storia di chi si oppose a eserciti e guerre, di chi sabotò, di chi disertò, delle lotte per il disarmo nucleare, per l’obiezione, per il diritto a dire ‘signornò’. È un compito urgente, e al tempo stesso di lunga durata. È urgente intraprenderlo, ben sapendo che oggi, mentre la guerra è l’invisibile ovunque, questo è il lavoro culturale più difficile.”

Questo appello è stato raccolto immediatamente da Loredana Lipperini, scrittrice e conduttrice radiofonica, che sul suo blog (https://www.lipperatura.it) risponde invitando a rivalutare l’importanza del “lavoro culturale” e a “sforzarsi di andare oltre la paura, e oltre gli automatismi”. Questa riflessione è seguita da un breve intervento intitolato “Come ho imparato a odiare la bomba”, in cui, dopo aver passato in rassegna una serie di celebri rappresentazioni letterarie di catastrofi belliche, la scrittrice conclude: “Parlo di immaginario, come sempre, perché di questo siamo fatti. Ed ecco, sulla scia di tutto questo, come si può pensare a una parola diversa da ‘pace’? Sarà ingenuo, sarà retorico, sarà quel che vi pare: ma di incubi fantascientifici trasformati in realtà, credo, ne abbiamo abbastanza.”

Questa reazione a caldo si è concretizzata in un’iniziativa più strutturata: una rubrica, sempre ospitata sul blog “Lipperatura”, intitolata “Bibliografia disarmata”. Qui da ormai un mese a questa parte Loredana Lipperini propone pillole di scrittori pacifisti: da Carlo Cassola a Saramago, passando per Virginia Woolf, H.D Toreau, Alex Langer, Moravia, Huxley, e decine di altri. Un progetto che ricorda un po’, in scala minore, quello del sito “Canzoni contro la guerra” (https://www.antiwarsongs.org/), un database online ormai attivo da quasi vent’anni (questo fu fondato sull’onda della guerra in Iraq) sul quale decine di volontari raccolgono e traducono canzoni pacifiste da tutto il mondo.

Quanto iniziative di questo tipo siano efficaci rimane da vedere; certamente c’è un che di poetico nel contrapporre ai roboanti slogan della guerra qualche pezzo di letteratura sommesso, forse inutile, appunto ‘disarmato’. In fondo alla prima voce della sua bibliografia, Lipperini scrive: “Mi rendo conto che è sciocco e vanesio da parte mia insistere con il tentativo di riflettere, pesare le parole, cercare di non partecipare alla frenesia virilmente bellica di questi giorni. Dunque, qualcosa di piccolo e spero, se non utile, confortevole: una piccola bibliografia di scrittori e scrittrici pacifisti. Un niente, avrebbe detto Fortini. Come quando cerchi un lemma sul sito della Treccani e ti si apre un pop up con quello della pace. Questo posso, questo faccio.”

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