Cultura

L’arte eterna di Zeffirelli
in mostra al Teatro alla Scala: intervista a Pippo,
figlio del grande Maestro

FIRENZE – “L’importante è capire che non esiste un modo giusto o corretto di mettere in scena Verdi o Puccini, ma che ogni tempo elabora il suo. Per quanto mi riguarda l’idea che il Maestro abbia debuttato al Teatro alla Scala nel 1953 da scenografo e costumista con un’Italiana in Algeri di Corrado Pavolini, e che poi viene promosso regista l’anno seguente per una Cenerentola e che alla Scala resterà fino al 2006 con l’Aida diciamo terminale, è una sicurezza, per me. La memoria è una delle poche caratteristiche identitarie rimaste nel mondo che stiamo vivendo. Nell’accezione più alta del termine, sono molto grato al Teatro alla Scala di Milano di un lavoro bello, per questa mostra che celebra il suo rapporto privilegiato con Franco Zeffirelli per un’avventura lunga mezzo secolo lungo questa straordinaria visione intitolata ‘Zeffirelli – Gli anni della Scala’ magnificamente curata da Vittoria Crespi Morbio a cui va il mio sentito ringraziamento per la cura e la precisione”.

Mai nessuno potrà come Pippo Zeffirelli (nella foto in alto), presidente della splendida Fondazione Franco Zeffirelli Onlus di Firenze (info@fondazionefrancozeffirelli.com; tel. +39 055 2658435, tel. e WhatsApp +39 320 1637839) dedicata al grande Maestro, Fondazione da lui stesso curata e arricchita quasi ogni giorno in nuovi dettagli, raccontare un percorso tanto particolare inaugurato a Milano, che resterà visibile al pubblico fino al 31 agosto 2023 a Milano al Museo del Teatro alla Scala, il più prestigioso ente lirico italiano. Anche a lui deve aver fatto una strana impressione, un melange di malinconia e appagamento ritrovare tanta parte della sua vita raccontata attraverso le opere del più grande regista visionario che l’Italia dell’opera lirica abbia mai avuto.

Presidente Zeffirelli quanto ci ha rivisto l’artista nel racconto del Teatro alla Scala, tempio della lirica mondiale?
“È stato un periodo lungo, difficile da districare in una mostra, che comunque ha tenuto intatto il sentimento zeffirelliano, cosa non facile da definire per un regista-mito che nella sua lunga carriera ha firmato alcuni spettacoli entrati nella storia del melodramma. Quel che racconta l’itinerario scaligero è una sorta di biografia attraverso costumi, bozzetti scenografie e materiali fotografici che proprio noi come Fondazione abbiamo fornito alla Scala cioè un teatro che è, contemporaneamente, testo ed evocazione del mondo culturale, che ha vissuto il Maestro, sia storico che sociale. L’ottica di un artista, colto artigiano fiorentino, nato il 12 febbraio del 1923, e che proprio qui, esattamente nel tempio dei teatri lirici mondiali, mosse i primi passi. Prima, come assistente di Luchino Visconti, per poi firmare da costumista e regista 21 spettacoli, e ultima l’Aida che inaugurò la stagione lirica il 7 dicembre 2006 con la direzione di Riccardo Chailly è assolutamente da vedere. Un omaggio non scontato di cui sono grato, che dà il via alle celebrazioni mondiali del centenario”.

Per la sua lunga esperienza la mostra è ben raccontata antologicamente?
“Direi proprio di sì. Perché Zeffirelli fece il debutto ideando i costumi dell’Italiana in Algeri con la regia di Corrado Pavolini il 4 marzo 1953, l’anno dopo arrivò la prima regia con La Cenerentola diretta da Carlo Maria Giulini, mentre è del 1955 Il Turco in Italia con Maria Callas che è rappresentato con i suoi meravigliosi costumi: uno di questi, firmato Zeffirelli, lo abbiamo anche ricostruito per la Fondazione grazie alla generosità del club ‘Firenze Donna’ la cui presidente è Serena Zavataro Triglia. Non manca la sua la prima inaugurazione trasmessa in televisione, con l’Otello diretto da Kleiber il 7 dicembre 1976, sua la Cavalleria rusticana in teatro e in film, i Pagliacci in una periferia contemporanea, la Turandot fiabesca e celeste con Maazel, il monumentale Don Carlo con Muti. E poi Traviata, Aida (in più allestimenti, il primo nel 1963 con le scenografie in stile Secondo impero della grande Lila de Nobili)e il Ballo in Maschera con Pavarotti”.

Secondo lei quale è lo spettacolo che lega di più Zeffirelli alla Scala?
“Non solo alla Scala, ma allargherei alla storia della musica: è La Bohème diretta da Karajan con Mirella Freni e Gianni Raimondi andata in scena per la prima volta il 31 gennaio 1963, e da allora ripresa 24 volte. Un’opera vista dal pubblico di tutto il mondo che dal mondo torna in Italia proprio per ritrovare i lavori del Maestro italiano più conosciuto e amato. Ed è una storia non ancora conclusa visto che è in programma nella prossima stagione la venticinquesima ripresa. Poi voglio applaudire all’allestimento della mostra, ideato da Valentina Bellavia con le grafiche di Emilio Fioravanti che permette di ammirare le locandine, bozzetti, figurini, costumi e fotografie e anche un bel documentario realizzato da Francesca Molteni con la curatela editoriale di Mattia Palma, curatore anche del catalogo, che racconta il percorso di Zeffirelli tra l’opera e lo schermo. Poi le riserve di timore di quel sarebbe stato, ad un certo punto, spariscono. Col mio lavoro in Fondazione lotto ogni giorno perchè sia così e debba assolutamente essere così: monito per i giovani che da noi sono tanti e frequentano le nostre sale. Che sappiano quanto alla base di un successo, di un qualsiasi successo nella vita, ci debba essere impegno tanta dedizione, che sono le cose che fanno crescere e danno un senso a tutto. A noi resta la banale umile realtà del poter toccare e rivivere quei periodi fecondi e una domanda: dove andranno tutte le cose? Resteranno?”.

Per questo centenario a cui stiamo andando incontro cosa auspica?
“Vorrei avere e assorbire per la Fondazione gli straordinari bozzetti di gioventù di Zeffirelli che visti al Museo della Scala mi hanno fatto un certo effetto. E vorrei anche trovare altri sponsor internazionali che amano e hanno amato il lavoro del Maestro, a sostegno della Fondazione per lui che è stato ed è amato in tutto il mondo. Non mi vergogno di essere parziale, eccessivamente munifico forse. Credo che se si vuole il nuovo, si abbia bisogno ancora della ripetizione, perché la ripetizione anche nelle esposizioni rassicura, trasforma, sublima. E fa sentire seppure nell’assenza, l’amore e la passione verso qualcosa che senti sì tuo, ma anche universale, cioè che appartiene a tutti. Questa è la forza dell’arte di Franco Zeffirelli che resterà nel tempo, ed è giusto che sia così”.

Titti Giuliani Foti

Titti Giuliani Foti (nella foto sopra) è una giornalista professionista italiana: per vent’anni referente per la cultura e gli spettacoli del quotidiano toscano La Nazione, Titti è critica teatrale, scrittrice, commentatrice e collaboratrice di testate nazionali italiane e importanti piattaforme web specializzate in teatro, arte e cultura

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