TORONTO – Maestro del thriller poliziesco, il regista Stefano Sollima con “Adagio” porta lo spettatore nelle acque profonde della paternità conflittuale. Il film esplora il multiverso della relazione padre-figlio, scoprendo l’umanità racchiusa nei suoi personaggi tragicamente imperfetti. I fan di Sollima lo conoscono per i suoi crudi film polizieschi (film e TV), in particolare “Sicario”, “Suburra”, “Romanzo Criminale” e “Gomorra”, ma “Adagio” è forse la perfetta fusione di questi lavori, con una sfumatura più sentimentale di quanto il suo pubblico potrebbe aspettarsi.
Sollima: “Fin dall’inizio l’ho visto come un noir sentimentale che ovviamente usa il genere per raccontare vari tipi di paternità… e che soprattutto si concede un ultimo tentativo e maldestro riscatto per aiutare un ragazzino in difficoltà. E questa è la parte più memorabile della storia”. Le convergenze karmiche della vicenda sono evidenziate da una grafica inquietante nei titoli di testa – uno sfondo di enormi incendi oltre i limiti della città. Roma, o almeno parte di essa, sta bruciando.
“Adagio” racconta la storia di un ragazzino Manuel (Gianmarco Franchini), in fuga dai Carabinieri dopo aver rifiutato di farsi ricattare. La storia si svolge deliberatamente in modo che lo spettatore non sia mai completamente sicuro di cosa sta succedendo, per quale motivo e chi siano effettivamente i personaggi – fino all’avvicinarsi del terzo atto. Roma, città dove è ambientata, si presenta come una città in fermento. I produttori gli conferiscono un’estetica più vicina a una metropoli americana fatiscente, simile alle città abbandonate nel videogioco “Grand Theft Auto”.
Dall’atmosfera imposta dal direttore della fotografia Paolo Carnera, all’orecchio di Sollima per il dialogo che il suo cast trasmette imperiosamente, “Adagio” trasforma quello che avrebbe potuto essere un tipico dramma poliziesco in una tragedia di proporzioni greche. In prima linea nel dramma c’è il personaggio di Tony Servillo, Daytona. È il padre ed ex gangster di Manuel, che soffre di demenza nella mezza età. Le sue condizioni fluttuano mentre assiste al fatto che i peccati del suo passato si ripercuotono su suo figlio. Daytona e Manuel non sono tuttavia l’unico tandem padre-figlio nella storia, e nemmeno l’unica varietà, poiché Sollima presenta tre figli: dal buono al cattivo fino alla morte.
“Adagio” descrive in definitiva il desiderio innato di un uomo di essere presente per suo figlio e, in un modo unico, ovviamente, per suo figlio. Mentre i personaggi di Adagio sono criminali con la “C” maiuscola, Sollima insiste sul fatto che anche quello più senza scrupoli tra noi ha un cuore. Non è un sentimento forzato ma una convinzione centrale che l’Uomo, non importa quanto sia povero un padre, in un certo senso soffrirà per questo – e nel migliore dei casi tenterà di riscattarsi. Alcuni critici hanno etichettato il mondo rappresentato in “Adagio” come “tossicità maschile”.
Ma il termine è superficiale e ottuso. Le persone sono imperfette. Gli antichi narratori lo sapevano fin troppo bene, poiché creavano storie di fratricidio, parricidio, figlicidio e infanticidio. Ciò che impariamo su noi stessi, tendiamo ad impararlo sotto costrizione, attraverso il dolore e spesso attraverso la perdita. “Adagio” vuole ricordare allo spettatore che a volte i più induriti e irredimibili tra noi non sono nati così e, cosa più importante, possono ancora aiutarci a esplorare la nostra psiche.
Guarda “Adagio” su Netflix
Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix