Italia

Preso il boss Messina Denaro
“Ma la mafia non è sconfitta”

PALERMO – Trent’anni fa, i Carabinieri guidati dal Capitano Ultimo intercettavano e catturavano Toto Riina, “il boss dei boss”. Era il 15 gennaio 1993. Oggi, esattamente tre decenni e un giorno dopo, i militari dell’Arma hanno arrestato Matteo Messina Denaro, latitante proprio dal 1993, quando nei suoi confronti venne emesso un mandato di arresto.

Una latitanza record, quella di Messina Denaro: trent’anni trascorsi sotto traccia fino al blitz di stamattina, quando i Carabinieri del Ros (Raggruppamento Operativo Speciale) si sono presentati in una clinica privata di Palermo, “La Maddalena”, dove il boss – con la falsa identità di Andrea Bonafede – si era recato per effettuare alcune terapie per curare un cancro diagnosticatogli un paio di anni prima. Messina Denaro ha accennato un tentativo di fuga, ma la struttura era letteralmente circondata dalle forze dell’ordine.

Il falso documento di Matteo Messina Denaro, pubblicato dall’Adnkronos

Bloccato dai carabinieri, si è arreso all’evidenza. “Sono Matteo Messina Denaro. L’ho detto, sono Matteo Messina Denaro” ha risposto ai militari che lo hanno identificato. Ben vestito, con un cappellino bianco di lana, occhiali scuri, un giubbotto marrone con pellicciotto bianco e con un orologio da 35mila euro al polso, il boss è stato accompagnato fuori dalla clinica privata, fra gli applausi della gente e pacche sulle spalle ai Carabinieri (“Bravi, era l’ora!”) e quindi portato alla caserma “San Lorenzo” e da lì è stato trasferito all’aeroporto di Boccadifalco per essere portato in una struttura carceraria di massima sicurezza. Per lui è stato già proposto il carcere duro: il 41-bis. Il suo “curriculum”, del resto, è agghiacciante.

Nato il 23 ottobre 1963, figlio del capomafia di Castelvetrano (Trapani) Francesco Messina Denaro, Matteo si allea ai corleonesi già dalla guerra di mafia dei primi anni ’80. Nel 1992 fa parte del gruppo di fuoco scelto per uccidere Giovanni Falcone ed il ministro Claudio Martelli, usando kalashnikov, fucili e revolver, che lui ha aveva procurato. Lo stop all’attentato a Roma viene dato da Totò Riina, che decide che il magistrato deve essere ammazzato a Palermo. E così avviene: lo stesso Messina Denaro verrà poi condannato, in latitanza, per le stragi del 1992 costate la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Non solo: l’ex super-latitante è stato condannato all’ergastolo anche per l’omicidio – tra i tanti altri – del piccolo Giuseppe Di Matteo, sequestrato per costringere il padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci, strangolato e poi sciolto nell’acido. Un ruolo importante ‘U siccu’ e ‘Diabolik’ – questi i suoi soprannomi – lo ha anche nelle stragi del 1993 a Firenze, Milano e Roma. Nell’estate di quell’anno fa perdere le sue tracce: l’ultima volta che viene visto è in vacanza a Forte dei Marmi con i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Poi, nei suoi confronti viene emesso un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e vari altri reati. E da allora Messina Denaro diventa irreperibile.

Matteo Messina Denaro dopo l’arresto (foto dell’Arma dei Carabinieri)

Ma come sono arrivati a lui gli inquirenti, oggi? Nessun confidente, nessun pentito – almeno stando a quanto riferito dai Carabinieri nella conferenza stampa seguita, oggi, da oltre cento giornalisti – ma un’indagine tradizionale. Da almeno tre mesi gli inquirenti analizzavano le conversazioni dei suoi familiari intercettati, dalle quali è emerso che il padrino di Castelvetrano era gravemente malato, tanto da avere subito due interventi chirurgici: uno per un cancro al fegato, l’altro per il morbo di Crohn. I magistrati e i carabinieri hanno scandagliato le informazioni della centrale nazionale del Ministero della Salute che conserva i dati sui malati oncologici. Confrontando le informazioni captate con quelle scoperte, gli inquirenti sono arrivati ad un certo numero di pazienti. L’elenco si è ridotto sulla base dell’età, del sesso e della provenienza che, sapevano i pm, avrebbe dovuto avere il malato ricercato. Alla fine tra i nomi sospetti c’era quello di Andrea Bonafede, nipote di un fedelissimo del boss, residente a Campobello di Mazara. Dalle indagini però è emerso che il giorno dell’intervento, scoperto grazie alle intercettazioni, il “vero” Bonafede era da un’altra parte. Quindi il suo nome era stato usato da un altro paziente. Le indagini hanno poi confermato che stamattina Messina Denaro, alias “Bonafede”, si sarebbe dovuto sottoporre alla chemioterapia. Certi di essere molto vicini al capomafia, i Carabinieri sono andati alla clinica privata. E lui, infatti, era lì.

“Abbiamo catturato l’ultimo stragista responsabile delle stragi del 1992-93”, ha detto dopo l’arresto il procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia che poi, però, ha aggiunto: “Ma la mafia non è ancora stata sconfitta”.

Matteo Messina Denaro portato via dai Carabinieri (foto dell’Arma dei Carabinieri)

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