TORONTO – Linea dura, senza paura. Quasi la metà di canadesi ritiene che i governo canadese debba rispondere per le riem di fronte alle minacce di Donald Trump senza farsi intimidire dalla minaccia di dazi doganali. La conferma arriva da un sondaggio pubblicato dalla Angus Reid, che mette in luce come l’opinione pubblica canadese sia molto lontano dalla linea morbida e accondiscendente adottata fino a questo momento dal primo ministro Justin Trudeau.
Secondo l’indagine demoscopica, il 49 per cento del campione ritiene che il governo canadese non debba piegarsi ai diktat del tycoon newyorchese, mentre il 33 per cento degli intervistati pensa che Trudeau debba negoziare con il presidente eletto americano per cercare di eliminare i dazi doganali del 25 per cento promessi da Trump su tutti i prodotti canadesi a partire dal prossimo 20 gennaio, giorno del suo insediamento alla Casa Bianca. Il 10 per cento dei canadesi, infine, ritiene che Ottawa debba soddisfare tutte le richieste americane.
In ogni caso l’annuncio di Trump rappresenta un problema per il nostro Paese. Stando alle analisi fatte da economisti ed esperti, nel caso in cui gli Stati uniti imponessero dazi di questo tipo il Canada sprofonderebbe nella recessione, con un crollo dell’economia e una crisi che colpirebbe, per via dell’effetto domino, tutti i comparti produttivi del nostro tessuto economico. Secondo la Angus Reid, l’86 per cento dei canadesi si dice preoccupato per via dei potenziali dazi doganali, incluso un 44 per cento che rivela di essere “estremamente preoccupato”. Solo il 7 per cento campione non vede come una minaccia l’eventuale attivazione dei dazi doganali da parte del futuro inquilino della Casa Bianca.
Angus Reid è poi andato a indagare sulla boutade fatta da Trump relativa alla possibilità del Canada di evitare i dazi doganali diventando il 51° Stato della confederazione americana. Ebbene, una piccola percentuali di canadesi non ritiene che questa sia una cattiva idea: stando al sondaggio, il 5 per cento del campione sarebbe favorevole alla proposta. Nel 2016 – ci dice l’istituto demoscopico – solo il 2 per cento pensava che il Canada avesse dovuto rinunciare alla sua indipendenza e diventare uno Stato americano.
Nel frattempo continua il pressing politico per cercare di far cambiare idea al presidente eletto. Il premier dell’Ontario Doug Ford è apparso su Fox News perorando la causa canadese. Il leader del Progressive Conservative ha cercato di spiegare una cosa abbastanza logica: il fatto cioè che l’imposizione dei dazi doganali al 25 per cento provocherebbe danni economici non solo in Canada, ma anche negli Stati uniti, visto che le due economie sono perfettamente integrate tra loro.
A dare manforte al premier dell’Ontario è stato poi ieri il Washington Post, che in un lungo articolo spiega per filo e per segno qual saranno gli aumenti per in consumatori americani nel caso in cui Trump dovesse attivare i dazi. “Pomodori, magliette e automobili – si legge nell’articolo -sono tra la vasta gamma di beni che potrebbero diventare significativamente più costosi se le tariffe promesse dal presidente eletto Donald Trump entrassero in vigore. Il Messico è la principale fonte di importazioni negli Stati Uniti, seguito da Cina e Canada. Insieme rappresentano il 43% dei 3,1 trilioni di dollari di merci importate”.
“Uno dei primi posti in cui gli acquirenti possono sentire l’impatto dell’aumento delle tariffe è il corridoio dei generi alimentari. L’anno scorso gli Usa hanno importato dal Messico ortaggi per un valore di 9,9 miliardi di dollari e frutta e succhi di frutta surgelati. Più della metà delle merci classificate come veicoli, parti e motori automobilistici proviene dal Canada e dal Messico. Il Canada è stato anche il principale esportatore di forniture industriali agli Stati Uniti, che includono forniture per l’edilizia, petrolio e materiali metallici utilizzati per fabbricare altri prodotti”.
“Le auto sono spesso prodotte tra gli Stati Uniti e i suoi vicini più stretti e le parti vanno avanti e indietro attraverso il confine durante il processo di produzione. Anche molte altre industrie si affidano a parti e materiali realizzati a livello internazionale, anche se il prodotto finale è realizzato negli Stati Uniti: ad esempio, l’anno scorso il paese ha importato petrolio greggio dal Canada per un valore di 93 miliardi di dollari”.