TORONTO – La stagione della caccia al tartufo potrebbe essere alle nostre spalle, ma l’attenzione italiana per gli elusivi funghi non svanirà probabilmente prima dei Premi David di Donatello Awards di maggio. Il regista ventottenne Gabriele Fabbro, che nel 2022 è stato nominato dalla rivista Moviemaker come uno dei migliori sceneggiatori da tenere d’occhio, si sta godendo il fermento della stagione dei premi per il suo secondo film Trifole. Il film uscito in Italia a ottobre è stato proiettato in 40 cinema a Roma, Torino e Milano e probabilmente arriverà nei cinema statunitensi prima di questa primavera.
Trifole vede come protagonista il celebre attore teatrale e televisivo Umberto Orsini nel ruolo di Igor, un anziano tartufaio il cui sostentamento è improvvisamente minacciato. Quando sua nipote Dalia viaggia da Londra al Piemonte per aiutare a prendersi cura di un Igor malato, riscopre le sue radici mentre assieme al suo cane da caccia perlustra le foreste. Per salvare la sua casa, i due devono trovare e annusare il tartufo bianco premiato prima che i cacciatori rivali rimuovano il delicato corpo fruttifero del fungo.
Orsini, originario del Piemonte (di Novara), è perfetto per la parte dal momento che la sua regione natale ospita il tartufo bianco nella piccola cittadina di Alba. L’ambito tartufo cresce nelle profonde foreste fertili delle Langhe, tra i fiumi Tanaro e Po e le catene montuose delle Alpi e degli Appennini. Il suo terreno argilloso e marnoso fa sì che il tartufo cresca più grande attorno alle radici delle querce e dei pioppi.
Le caratteristiche uniche della topografia sono importanti, in particolare quando si considera la protezione dell’industria del tartufo. Il film di Fabbro presenta un cane da caccia (Birba) anziché un maiale, che fino al 1985 era il compagno di ricerca del cacciatore. Perché sono stati banditi? I maiali scavano in modo irregolare ed erano inclini a distruggere l’ambiente e a mangiare i tartufi. Per non parlare del fatto che non sono animali discreti, uno svantaggio per i cacciatori riservati.
Il film è stato un ritorno a casa per Fabbro, nato a Milano e cresciuto in una zona rurale vicino al lago di Como, prima di trasferirsi nel campus di Los Angeles della New York Film Academy. “È stato un progetto molto personale, tornare in Italia, incontrare le persone di cui volevamo raccontare le storie”, dice Fabbro. Sulla sua esperienza nel dirigere l’acclamato Orsini: “Ho incontrato così tanti attori che mi trattano come un nuovo arrivato, ma con Umberto Orsini il processo è stato così collaborativo. È stato quasi come uno sceneggiatore”.
La co-sceneggiatrice e co-protagonista di Fabbro, Ydalie Turk (nipote di Igor), ha detto del processo di scrittura: “Ero interessata a esplorare il valore monetario ed emotivo dell’eredità e dell’identità della caccia al tartufo come professione, ma anche di un intero territorio che è molto spesso associato al tartufo bianco”. Per quanto riguarda il viaggio del suo personaggio, “Spero che il film risuoni nei giovani… stiamo affrontando molta incertezza esistenziale, e questo si traduce in disinganno. Spero che il film serva da antidoto a questi sentimenti”.
Nelle immagini: una scena di Trifole e la locandina del film (foto per gentile concessione di TrifoleMovie e Cinefonie)
Massimo Volpe, autore di questo articolo, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix