Il Commento

Sta crescendo l’insofferenza verso Israele

TORONTO – Oggi, la Camera dei Comuni canadese discuterà una mozione dell’opposizione, presentata dal leader dell’NDP, Jagmeet Singh (https://www.ourcommons.ca/en/ House Agenda, 18 marzo: potete leggerla integralmente in fondo a questo aricolo). Si tratta di una condanna senza e senza ma delle risposte politico-militari del governo israeliano contro Gaza per le incursioni, le uccisioni e i rapimenti accaduti il 7 ottobre 2023.

Questo è ciò che si trova nel preambolo [giustificazione delle] risoluzioni, che di fatto chiedono una Gaza autonoma/indipendente e autodeterminata, il cui diritto di esistere come entità politica sarebbe garantito e protetto da organismi internazionali. Senza esprimere opinioni su quanto auspicabile o meno una simile proposta possa essere, si dubita che anche una seria discussione in un forum legislativo canadese, mal equipaggiato per imporre unilateralmente l’esito delle sue deliberazioni, contribuirebbe a raggiungere tale obiettivo senza prendere in considerazione l’apporto di opinioni contrarie.

In questo contesto, la Mozione non è altro che un palese tentativo di trarre un vantaggio politico/partitico interno dalla sofferenza di qualcun altro. I suoi proponenti potrebbero cercare di riecheggiare un tema degli anni ’70, “give peace a chance”: ahimè, questo è il meglio che si potrebbe aspettare da qualcuno che capisce al volo. Non è un approccio che risuona bene tra coloro che sono predisposti a detestare allo stesso modo “ebrei e [anche] musulmani”. Prendiamo, ad esempio, la reazione negativa, la scorsa settimana, alla “implicita esortazione/supplica” del Papa secondo cui la pace non può essere raggiunta finché le parti in causa e i belligeranti non smettano di combattere, anche momentaneamente.

Nessuna quantità di vacuo “moralismo” da parte di un partito politico senza “parte nel gioco” cambierà la situazione, anche se è un partner di governo – come si vede nella Mozione. Da questo punto di vista non c’è alcun moralismo nel mettere in dubbio la veridicità delle vittime e dei dati emersi dal conflitto. È, come si suol dire, un bersaglio facile.

Dopo cinque mesi di lotta squilibrata (Israele è una delle potenze militari più potenti e meglio equipaggiate del Grande Medio Oriente, Gaza la peggiore), il numero delle vittime (31.000 contro 1.200) lo indicherebbe. I sostenitori di entrambe le parti hanno iniziato a portare il conflitto nella Camera dei Comuni canadese, attraverso una mozione di opposizione auto-adulatoria, il cui unico valore porterà all’eliminazione dei suoi promotori come partito degno di considerazione per il governo nelle prossime elezioni federali.

I Paesi europei, che sono più immediatamente, potenzialmente, colpiti, sono stati molto più proattivi – perché hanno “leve” e argomenti seri, su cui si sono impegnati fin dall’inizio.

Anche negli Stati Uniti, un Paese sul punto di approvare un trasferimento di assistenza militare a Israele – non a Gaza – di quasi 15 miliardi di dollari secondo le stime diffuse dal Congresso americano, sembrano avanzare richieste di interventi significativi. Eppure il governo israeliano resiste.

Il senatore democratico Chuck Schumer, membro ben collegato della diaspora ebraica, ha iniziato a dar voce a una distinzione tra gli ebrei (la diaspora) e l’attuale governo di Israele. Il presidente americano Joe Biden sembra essere d’accordo. Almeno si stanno sforzando di distinguere tra i due con uno sguardo al futuro: il governo di Israel non è necessariamente il popolo, quindi una critica della politica attuale non è per forza una espressione di anti semitismo.

Nelle foto in alto: un’immagine di Gaza, con alcuni bambini davanti alle macerie, tratta dalla pagina Twitter X di United Nations Geneva (@UNGeneva); a destra, Bibi Netanyahu in una foto tratta dalla sua pagina Facebook; qui sotto, la mozione dell’NDP

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