Risposta dura o più diplomazia? Canadesi divisi sulle contro tariffe
TORONTO – Avere a che fare con Donald Trump non è facile. Lo abbiamo capito in questi mesi di guerra commerciale, di tira e molla, minacce, smentite, accuse e veleni che hanno portato all’attivazione dei dazi doganali americani sulle merci canadesi. Ma quale deve essere la risposta del governo canadese di fronte alle prepotenze dell’inquilino della Casa Bianca?
A cercare di dare una risposta a questa domanda, tastando il polso dell’elettorato canadese, ci ha pensato la Leger, con un sondaggio nel quale emerge come la popolazione sia divisa. E come, allo stesso tempo, l’atteggiamento dei canadesi sia profondamente cambiato rispetto a sette mesi fa. Nell’istantanea scattata da Leger si evince che in questo momento il 45 per cento dei canadesi sia favorevole all’approccio del cosiddetto “elbows up”, dei gomiti alzati e quindi dell’intransigenza da parte del governo federale in risposta alle tariffe americane. Ottawa, per loro, dovrebbe attivare immediatamente dei contro dazi, per creare il maggiore danno economico negli Stati Uniti, fino a quando il presidente americano non deciderà di porre fine alla guerra commerciale.
Di contro, il 41 per cento degli intervistati ritiene che l’esecutivo liberale dovrebbe invece adottare una linea morbida, senza ritorsioni commerciali, puntando sul negoziato e la trattativa per cercare di far desistere l’amministrazione americana. Ebbene, sette mesi fa la percentuale di coloro che erano invece favorevoli alla linea dura era del 73 per cento, la stragrande maggioranza del campione.
Cosa è successo quindi, per questo repentino cambiamento? Il primo dato significativo è la diversa percezione del pericolo: a gennaio e febbraio l’ipotesi di una guerra commerciale con il nostro principale alleato spaventata parecchio. Gli analisti già mettevano in preventivo il crollo dell’economia, la contrazione della crescita, il calo netto del potere d’acquisto dei consumatori, una nuova impennata dell’inflazione, un tracollo occupazionale generalizzato in tutti i comparti del nostro settore produttivo. Tutti indicatori, questi, dell’imminenza di una nuova pesantissima recessione. Dopo qualche mese, le previsioni più pessimistiche non si sono avverate, segno che l’economica canadese si è dimostrata solida e resiliente, anche di fronte agli scossoni dei dazi doganali.
Anche perché, dobbiamo ricordarlo, le tariffe trumpiane hanno colpito solamente i prodotti che non sono coperti dall’ombrello del Cusma, il trattato di libero scambio sorto dalle ceneri del defunto Nafta, siglato dal Canada, il Messico e gli Stati Uniti.
È cambiata, in sostanza, la percezione del pericolo, dell’incertezza, dei rischi concreti legati al braccio di ferro con Washington. Certo, i problemi rimangono, alcuni settori – vedi quelli legati alla produzione di acciaio e alluminio – sono stati penalizzati pesantemente dalle politiche protezionistiche del presidente americano, ma in generale i canadesi non sentono più di trovarsi in una situazione d’emergenza. E per questo negli ultimi mesi è cresciuta in modo significativo la percentuale di coloro che vedono nella diplomazia e nella trattativa la risposta migliore alla strategia dell’inquilino della Casa Bianca.
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