TORONTO – Rafforzare i legami commerciali con Ue, Paesi asiatici e Sudamerica. È questo l’obiettivo nel medio-lungo termine del governo federale, alla luce delle tensioni con gli Stati Uniti nate in concomitanza con la nuova presidenza americana. Mentre il rischio dazi annunciati da Donald Trump rimane concreto, Ottawa cerca di capire come procedere nell’immediato futuro e come porre rimedio al punto debole della nostra economia: quello di essere quasi completamente integrata e interdipendente con quella statunitense.
Il Canada, in ogni caso, sta espandendo i rapporti commerciali anche con il resto del mondo.
Attualmente sono oltre 50 i Paesi che hanno siglato un accordo di libero scambio con Ottawa. I dati sull’espansione commerciale attraverso l’Atlantico e il Pacifico sono confortanti. L’export verso l’Asia, stando ai dati ufficiali della Trans-Pacific Partnership, ha raggiunto quota 66 miliardi di dollari, aumentando del 38 per cento nei primi cinque anni.
Ma è ancora troppo poco per poter immaginare un’economia canadese in grado di essere completamente indipendente da quella a Sud del confine. Secondo i dati pubblicati da tradingeconomics.com, annualmente il Canada esporta negli Stati Unit prodotti e beni per un valore complessivo di circa 440 miliardi di dollari.
Per capire bene come gli States siano fondamentali per il nostro benessere e lo sviluppo economico canadese, basta vedere i numeri del secondo Paese per i volumi delle nostre esportazioni: sin tratta della Cina, per un valore complessivo di 22 miliardi di dollari. A seguire il Giappone (11,7 miliardi) e Regno Unito (10,5 miliardi). Sempre secondo tradingeconomics.com, gli Stati Uniti rappresentano la destinazione del 75 per cento del totale delle esportazioni canadesi.
Dopo la “tregua” annunciata al foto finish, i dazi doganali voluti da Trump su tutti i prodotti canadesi sono stati sospesi fino al primo marzo: stesso destino per i contro dazi annunciati da Ottawa, che entreranno in vigore solamente se l’inquilino della Casa Bianca decise per davvero di attivare le tariffe doganali.
Il governo federale, dal canto suo, pensa di aver dato una risposta concreta alle preoccupazioni avanzati dall’amministrazione americana riguardo la debolezza dei controlli lungo il confine, che avrebbe provocato – almeno secondo Trump, visto che i dati lo smentiscono clamorosamente – l’aumento indiscriminato di ingressi di immigrati clandestini e avrebbe facilitato la supposta invasione di fentanyl proveniente dal Canada. Ottawa ha già annunciato un piano di rafforzamento della sicurezza alle frontiere con un investimento di 1,2 miliardi di dollari, con la nomina di un commissario speciale per la crisi provocata dal fentanyl e con una maggiore integrazione delle varie agenzie di sicurezza canadesi con le controparti americane.
Per ora il presidente americano ha accettato di mettere i dazi in stand-by: resta da capire se lo stop diverrà definitivo anche a marzo, o se il mese prossimo dovremo fare i conti con dazi che potrebbero trascinarsi dentro la recessione.
Nella foto in alto, un cargo container diretto verso l’Asia