Italia

Quell’incontrollabile
“spinta” ad emigrare

Prosegue la pubblicazione, in dieci puntate sia in Italiano che in Inglese, della presentazione accademica che il nostro collaboratore periodico Goffredo Palmerini ha tenuto all’Aquila il 3 novembre scorso, in occasione dell’Assemblea CRAM (Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo). La relazione si intitola “Cenni storici sull’emigrazione italiana” e ripercorre la storia della nostra Diaspora.

L’AQUILA – Dunque è evidente che fosse naturale, in presenza d’una sordità sociale così palese, la fuga muta ed ostinata di chi non aveva neanche l’essenziale per la sopravvivenza. Non è il caso d’indagare se ci fosse o meno una coraggiosa spinta imprenditoriale in quegli italiani che dovevano tra difficoltà oggettive costruire uno Stato nuovo ed unitario non solo a parole, ma appare chiara l’insufficiente presa di coscienza dell’emigrazione come problema nazionale, come questione sociale ormai inquietante, come protesta silenziosa e sprezzante. Tutt’al più poteva apparire come fenomeno di disturbo in una fase di assestamento ancora incerta ed immatura.

E così l’emigrazione nacque con quel suo carattere, durato più d’un secolo, di spinta incontrollata ed incontrollabile, per mancanza d’un adeguato piano governativo sia di sostegno ai partenti, sia per il riassorbimento delle forze emigrate, nel contesto d’una politica economica programmata che almeno governasse l’emigrazione aiutandola nella fase dell’espatrio come in quella del rientro, con una serie di servizi, tutele e infrastrutture. Questo perché l’uscita dal Paese non fosse un atto d’arrischiata avventura ed il ritorno una faticosa reintegrazione.

La spinta ad emigrare ebbe persino i suoi banditori, come gli agenti delle linee di navigazione ed i rappresentanti degli interessi d’oltreoceano che nei più sperduti paesi d’Italia portavano la suggestione d’una fortuna a portata di mano. Dopo un secolo, di fortuna non si parlava più e la ripresa dell’emigrazione, dal 1946, fu collegata a rapporti di lavoro soprattutto con le industrie estrattive. Tutt’al più si sperava in contratti vantaggiosi, specie per i lavoratori delle miniere rispetto agli scarni trattamenti salariali che allora si fruivano in Italia: A quali costi ce l’avrebbe rivelato nel 1956 la tragedia di Marcinelle.

E tuttavia resta nitida la cifra dell’emigrante italiano, a volte un pioniere, un avventuroso ed un campione di coraggio e sobrietà, in altri casi persone che cercavano la sicurezza del pane quotidiano, stabilità del lavoro e qualche forma di protezione sociale. Dall’unità d’Italia ad oggi le migrazioni con l’estero hanno certamente rappresentato un fattore di primaria importanza nell’evoluzione socio-economica del Paese. Solo a partire dagli anni ’70 si è cominciata a delineare un’inversione di tendenza, rivelata prima dall’attenuarsi dei fattori d’espatrio e poi dal passaggio, per i più imprevisto ed inatteso, da paese d’emigrazione a paese d’immigrazione.

Ma già nel primo decennio del Duemila, particolarmente dopo la crisi economica mondiale del 2007-2008, in Italia si è ripreso ad emigrare, con uscite che hanno raggiunto talvolta i 150mila esodi in un anno, spesso giovani con formazione universitaria che dentro i confini non hanno trovato opportunità di lavoro. Negli ultimi anni intorno a 130mila sono stati gli esodi.

Tornando al periodo in esame, la fine del secondo conflitto mondiale segna l’avvio d’una ulteriore fase d’intensa emigrazione dall’Italia verso l’estero. L’arretratezza delle strutture di produzione e la continua fuoriuscita di manodopera dal settore agricolo determinano infatti un’ampia disoccupazione, specie nelle regioni meridionali. La promozione dell’emigrazione viene vista come un rimedio agli squilibri interni tra domanda ed offerta di lavoro, tanto che viene pubblicamente proposta con un piano del Governo tendente a favorire gli espatri.

(terzo capitolo – continua…)

La foto in alto è “Famiglia di emigranti italiani a New York”, tratta dal libro “La Merica. Emigrazione dei Monteleonesi verso gli Stati Uniti dal 1882 al 1924” di Antonio De Vitto

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