TORONTO – Una valanga di seggi per i conservatori, un tracollo netto per i liberali. Sarebbe questo il risultato elettorale se si votasse in questo momento, stando all’istantanea scattata ieri da Abacus Data che ha elaborato tutti gli ultimi sondaggi a livello federale per calcolare la proiezione dei seggi per i singoli partiti attualmente in parlamento.
Ebbene, secondo l’istituto demoscopico il Partito Conservatore guidato da Pierre Poilievre non solo vincerebbe le elezioni, ma porterebbe alla House of Commons una significativa maggioranza parlamentare: se si votasse ora, i tory conquisterebbero 204 seggi, con un guadagnano di 77 deputati rispetto all’ultima tornata elettorale del 2021. Al contrario, il Partito Liberale del primo ministro Justin Trudeau ne uscirebbe tremendamente ridimensionato in termini numerici: i grit non andrebbero oltre la vittoria in 69 circoscrizioni federali, perdendone ben 87 rispetto a quanto fatto due anni fa.
La fuga di massa dal partito di maggioranza non avrebbe degli effetti benefici solo a destra, ma anche a sinistra, dove l’Ndp di Jagmeet Singh guadagnerebbe due deputati rispetto ai 25 che attualmente siedono alla Camera dei Comuni.
Ma non solo. Il crollo delle consenso e delle intenzioni di voto verso il primo ministro provocherebbero delle conseguenze molto significative anche a livello regionale, in particolare in Quebec. Nella provincia francofona, infatti, il Partito Conservatore non decolla – esattamente come i neodemocratici – quindi a capitalizzare sul tonfo dei liberali sarebbe solamente il Bloc Quebecois di Yves-François Blanchet, che passerebbe dai 32 deputati a 43.
Cambia quindi, profondamente la geografia politica del nostro Paese. Mai negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a una distanza così netta tra il primo partito e il diretto concorrente, ammesso che i dati registrati in tutti gli ultimi sondaggi rispecchino fedelmente i rapporti di forza a livello federale. Bisogna infatti andare indietro alla vittoria a valanga dei liberali guidati da Jean Chretien nel 1993 per avere un gap così evidente tra il partito di maggioranza e l’opposizione.
Sono tanti i fattori che hanno portato a questa situazione. In generale l’elettorato canadese sta manifestando un’evidente insoddisfazione verso le politiche del primo ministro, imputando a Trudeau la maggiore responsabilità per la traballante situazione economica, l’inflazione galoppante, i tassi d’interesse – e quindi i mutui della casa – alle stelle. Allo stesso tempo, la crisi abitativa continua a spaventare i canadesi, che evidentemente non ritengono il primo ministro all’altezza di risolvere una questione tanto delicata quanta complessa. Entra poi in gioco un altro fattore, quello legato all’allontanamento che definiremmo fisiologico dell’elettorato da un primo ministro al potere ormai da otto anni, dalle elezioni del 2015. Soffia quindi il vento del cambiamento, quel vento che non è bastato a Andrew Schweer ed Erin O’Toole per scalzare l’attuale primo ministro nelle ultime due tornate elettorali.
Anche il patto di legislatura, siglato da Trudeau e da Singh nella primavera del 2022 per garantire la sopravvivenza del governo – che alla House of Commons non ha i numeri per andare avanti da solo – non è piaciuto all’elettorato canadese.
Per Trudeau quindi resta davvero poco tempo per invertire la rotta e cambiare marcia nell’azione di governo, perché il margine di svantaggio sembra sempre più irrecuperabile.