TORONTO – Dimentichiamoci i piani a lunga scadenza, in questa seconda ondata i vari livelli di governo in Canada hanno imparato a navigare a vista. Sono quindi questo continuo clima d’incertezza, questa mancanza di sicurezze che caratterizzano l’azione di governo, costretto con una frequenza praticamente quotidiana a dover ricalibrare la propria strategia, a modificare linee guida e protocolli, a rimodulare le priorità d’intervento nel tentativo di frenare la curva dei contagi.
Mascherine, vaccini, fronte scolastico, case di cura a lunga degenza, test rapidi, lockdown, coprifuoco: sia Ottawa che Queen’s Park fanno e disfano, attuano e smobilitano, annunciano e sono immediatamente costretti al dietrofront. E i cittadini sono in balia di questo flusso continuo di annunci e smentite, prese di posizione e ritrattazioni, decisioni e ripensamenti.
Quanto è accaduto – e sta accadendo – per le scuole in Ontario è un esempio perfetto. Abbiamo avuto la chiusura totale durante la prima ondata, con il governo e i provveditorati che hanno avuto tempo sei messi per mettere in piedi un piano di rientro efficace e sicuro. A settembre gli studenti sono tornati in classe e sin dall’inizio abbiamo registrato l’inadeguatezza di questi piani.
In appena tre mesi, nelle scuole della nostra provincia ci sono stati 7.351 casi di Covid-19. Per molte settimane il ministro Lecce ha confermato che la riapertura delle scuole dopo le vacanze natalizie sarebbe stata il 4 gennaio, poi l’11 gennaio, infine – per quattro regioni, compresa quella di Toronto – il 10 febbraio. Ora siamo ancora in attesa di sapere se la data sarà rispettata o se ci sarà un nuovo rinvio.
Ecco, l’incertezza appunto. Questo senso di dubbio, di indecisione, di esitazione che è diventato una costante. Regna l’incertezza anche sul fronte vaccini, questa volta però con la variante dello scaricabarile.
Si parte dall’elemento fattuale: c’è un grave ritardo nella tabella di marcia nella campagna di vaccinazione stabilita dall’esecutivo. Ecco allora che il governo federale dà la colpa alla Pfizer in ritardo con le consegne, l’esecutivo provinciale accusa Ottawa di non aver fatto la voce grossa con il gigante farmaceutico americano – come invece è stato fatto in Europa, ad esempio – mentre il primo ministro Justin Trudeau, come sempre, minimizza: i ritardi saranno riassorbiti entro breve tempo, la road map della vaccinazione andrà avanti come programmato. E ieri, un altro elemento di incertezza: a quanto pare dei 4 milioni di dosi promesse dalla Pfizer al Canada entro marzo ne arriveranno solo 3,5 milioni.
E che dire delle mascherine? Nell’arco di un anno ne abbiamo sentite di tutti i colori, complici i messaggi contraddittori del Chief Medical Officer del Canada Theresa Tam: non servono a nulla, anzi no servono negli spazi chiusi, anzi sono efficaci anche all’aperto, e così via.
Ora, complici anche le nuove varianti del Covid che sembrano più aggressive e contagiose, per bocca di Anthony Fauci negli Usa è arrivata una nuova raccomandazione: meglio indossare due mascherine, per creare un doppio strato protettivo. Qui in Canada, almeno per ora, le autorità sanitarie hanno deciso di non modificare le linee guida: uno strato basta e avanza – dicono – anche per i nuovi ceppi di coronavirus. Ma sarà davvero così, o ci sarà l’ennesimo dietrofront anche su questo?
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