Cultura

L’eredità di Cabrini, un impero di speranza

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TORONTO – Il film degli Angel Studios, “Cabrini”, racconta la vera storia di una suora del XIX secolo che ha superato palesi discriminazioni razziali e una feroce resistenza politica nel suo tentativo di creare una rete di ospedali e orfanotrofi in tutto il mondo. Sotto l’occhio vigile e autoritario del Vaticano e della classe dirigente di New York, Francesca Cabrini ha iniziato la sua missione [impossibile] nel famigerato quartiere di Five Points a New York.

“Cabrini” non è né propaganda cattolica né femminista, né si rivolge esclusivamente ad un pubblico italiano o di immigrati. È semplicemente la storia di un individuo che si è rifiutato di accettare la sconfitta, in nome della creazione, come l’ha definita Cabrini, di un “Impero della speranza”. È la storia dell’America. I tempi duri rendono le persone determinate. Un adagio che, nel 2024, potrebbe suonare banale a una generazione la cui società sta crollando e trasformandosi (in cosa?) a un ritmo senza precedenti.

Ma la società è tenuta insieme dalle persone abbastanza coraggiose da fare il primo passo. Come esempio personale, un tizio mi riferì che mia madre, appena sconparsa, aveva aiutato lui e la sua famiglia quando era arrivato in Canada alla fine degli anni ’60. Raccontava che anche da giovane (lei aveva vent’anni), gli disse di non aspettarsi alcun aiuto finché non avesse imparato l’inglese e gli diede l’indirizzo dell’appartamento di un tutor. Quando bussò alla porta di quel tutor, si sentì rispondere: “Fammi indovinare, ti manda Mirella”. È questo tipo di iniziativa che Cabrini professava essere il fondamento per costruire un sogno.

Il film ci presenta la fervente Cabrini (Cristiana Dell’Anna) mentre sfreccia nei corridoi del Vaticano, frustrata dal fatto che le sue lettere alla Santa Sede siano state ignorate. La sua richiesta era di iniziare una missione in Cina. La risposta: “Rimani dove sei”. A quel tempo, “faceva parte” delle Suore Missionarie del Sacro Cuore di Gesù in Lombardia, ma il suo desiderio era di diffondere il Vangelo in Oriente. Alla fine, il duro lavoro e la reputazione di Cabrini furono sufficienti a convincere Papa Leone XIII a concederle una missione all’estero. L’ordine: avrebbe dovuto iniziare in Occidente, in America.

Ovviamente accettò la Missione, che fu caratterizzata – con sua sorpresa – da un’aggressiva resistenza politica e da palesi violazioni dei diritti umani. Era un periodo in America in cui gli italiani venivano apertamente derisi per il colore della loro pelle; venivano chiamati bastardi; i darwinisti sociali dicevano che gli italiani erano “l’anello mancante tra gli scimpanzé e gli umani”; i contratti pubblici escludevano l’assunzione di “manodopera italiana” e la paga giornaliera per gli italiani era una terza categoria – al di sotto dei “bianchi” e “di colore”.

Poche persone potrebbero sapere che, fino ad oggi, il più grande linciaggio di massa nella storia americana è stato l’omicidio di 11 italiani, il 14 marzo 1891 (le persecuzioni di New Orleans).

Mentre il film ha raccolto ampi elogi da pubblico e critica, alcuni hanno ipotizzato che difficilmente otterrà una nomination all’Oscar, perché è un film “basato sulla fede” o non ha i soldi della campagna per far pressione sui votanti dell’Academy. A questo rispondo: chi se ne frega.

Come ha detto la stessa Cabrini, “Ci vuole un sacco di coraggio per essere le persone che dovremmo essere”. Il suo sentimento non era radicato nel bisogno di essere accettati o inclusi, ma nella spinta a fare la differenza… Per guadagnarsi l’accettazione.

E sia che tu sia religioso o ateo, la storia di Cabrini è un promemoria che alcuni sono venuti prima di noi, hanno sopportato molto di peggio e hanno aperto la strada ad altri.

Questo, più di quello che qualsiasi statua dorata possa offrire, è l’eredità di Cabrini. È un film che vale la pena vedere.

Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix

 

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